La presa della Bastiglia. Rivoluzione Francese

La presa della Bastiglia. Rivoluzione Francese, gli anni che sconvolsero la Francia e segnarono il mondo. Ma i nostri cugini d’oltralpe sanno di festeggiare uno dei più sanguinosi e repressivi momenti della storia di Francia? Per giunta palesemente mistificati? 
di Gianfredo Ruggiero

 

La presa della Bastiglia. Rivoluzione Francese
La presa della Bastiglia.

La presa della Bastiglia. Rivoluzione Francese. Un motto suggestivo e accattivante: libertà, uguaglianza e fratellanza, che chiunque può condividere e interpretare, ha contribuito al successo della sollevazione. La Rivoluzione Francese ci ha dato la “Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino” da cui derivò l’abolizione della schiavitù nelle colonie (ripristinata da Napoleone nel 1802) e molte innovazioni in senso liberale come il “suffragio universale”(1) e l’abolizione del feudalesimo. Ma su come furono perseguiti, questi nobili ideali – spesso solo sulla carta – e cosa accadde in quei dieci anni dal 1789 al 1799 si tenta di sorvolare, soprattutto quando, Il 14 luglio di ogni anno, la Francia festeggia solennemente la presa della Bastiglia, momento simbolo della Rivoluzione Francese.

Ma i nostri cugini d’oltralpe sanno di festeggiare uno dei più sanguinosi e repressivi momenti della storia di Francia? Per giunta palesemente mistificati? La presa della Bastiglia è descritta nei libri di storia come un’eroica e spontanea sollevazione popolare contro il simbolo del potere dispotico, e per liberare i prigionieri ingiustamente carcerati e sottoposti a indicibili torture e sofferenze.  In realtà la guarnigione si arrese senza combattere, e i reclusi erano in totale sette, per giunta incarcerati per reati comuni (quattro falsari, un maniaco sessuale e due insani di mente).  

Percorriamo i fatti. La Bastiglia fu eretta a metà del 1300 come fortezza difensiva e, dopo, adibita a uso carcerario sotto Richelieu nel 1600. Poiché il mantenimento della grande struttura era diventato molto costoso, nel 1784 era stata decisa la sua demolizione, più volte rimandata a causa dei costi elevati. All’epoca della Rivoluzione, essendo poco utilizzata, il controllo dell’immenso bastione era affidato a un reggimento di soli ottantadue riservisti (soldati anziani o inabili per invalidità) e trentadue guardie svizzere. 

Il 14 luglio una folla esagitata si accalca davanti alla Bastiglia per assaltarla alla ricerca di armi, e nonostante le forze fossero sufficienti a respingere i rivoltosi, il comandante della Fortezza de Launay si rende disponibile a trattare la resa a patto che fosse garantita l’incolumità sua e della guarnigione. Fu, invece, ucciso a tradimento e l’intera guarnigione massacrata. Le testa del comandate e quella del sindaco di Parigi Flesselles, nel frattempo intervenuto per sedare gli animi, furono infilzate su pali appuntiti ed esibite nelle piazze. 

All’orrore si aggiunse il ridicolo quando furono mostrati, come strumenti di tortura, parte di un’armatura medioevale spacciata come “corsetto di ferro per spezzare le articolazioni” e una pressa tipografica presentata come “macchina per stritolare le ossa”.  La scoperta di alcune fosse contenenti dei resti umani in un cortile interno della Bastiglia fece gridare allo sdegno, salvo poi riconoscere sommessamente che non si trattava delle ossa di oppositori politici giustiziati o morti per le sevizie subite, bensì di persone normali che essendosi suicidate non potevano essere sepolte in terra consacrata. A completare la montatura furono le stampe, fatte circolare per le vie di Parigi, che ritraevano gli emaciati prigionieri della Bastiglia incatenati tra scheletri penzolanti. 

Questo fu l’inizio della Rivoluzione Francese tra orrore, ridicolo e falso. Il seguito fu ben più raccapricciante e mistificante: Robespierre e il terrore, il genocidio della Vandea, la deportazione dei preti refrattari e le scorrerie di Napoleone. 

Chi furono Robespierre e Saint-Just è a tutti noto, quello che sfugge e che su di loro gli storici ufficiali hanno fatto confluire tutte le nefandezze della rivoluzione.  Facendoli passare per dei pazzi sanguinari giunti al potere carpendo la buona fede dei rivoluzionari, si tenta maldestramente di ridurre la portata degli eventi a una sorta d’incidente di percorso.  In realtà quei dodici mesi di autentico terrore (dal luglio 1793 al luglio del 1794) furono la conseguenza delle vicende precedenti e la premessa di quelle successive. 

Dal 2 al 6 settembre del 1792 avvennero i “massacri di settembre”. In quei giorni la folla, secondo alcuni sobillata da Danton e Marat, inferocita per il disastroso andamento della guerra contro la Prussia e per le prime rivolte in Vandea, assalta le prigioni. In pochi giorni, sotto lo sguardo indifferente delle autorità repubblicane, metà della popolazione carceraria parigina, in massima parte detenuta ingiustamente e molti sacerdoti, è uccisa. 

La strage, spontanea o organizzata che fosse, è avvenuta prima dell’inizio del Grande Terrore (luglio 1793) e rappresenta una costante nel processo rivoluzionario. Lo riconosce anche Michel Vovelle, uno dei più autorevoli studiosi della Rivoluzione Francese, di formazione marxista, secondo cui «la violenza nelle carceri servì, da un punto di vista storico, ad alimentare la Rivoluzione la quale, altrimenti, si sarebbe potuta spegnere presto» 

Questo spiega perché la borghesia rivoluzionaria non solo abbia teorizzato, ma addirittura incoraggiato i massacri nelle prigioni. Senza la violenza, che come vedremo non si limitò alle carceri, la Rivoluzione si sarebbe arrestata come un’auto senza carburante. 

Nel luglio del 1793, per fronteggiare la crisi economica che attanagliava le classi meno abbienti e la minaccia degli eserciti stranieri alleati contro la Francia, i poteri furono affidati a un Comitato di Salute Pubblica guidato da Robespierre che ebbe il compito di costituire un nuovo esercito e, soprattutto, di fare il lavoro sporco: l’eliminazione fisica degli oppositori e la repressione in Vandea che nel frattempo era insorta.  Con il pretesto della necessità di salvare la rivoluzione dagli attacchi dei reazionari (spesso povera gente che protestava per il pane) fu messo in atto uno spietato apparato poliziesco e repressivo i cui epigoni li possiamo trovare nella Russia di Lenin e nella Cambogia di Pol Pot (che non a caso studiò in Francia). 

Per rendere più efficace e veloce l’azione di Robespierre fu promulgata la famigerata legge del 22 pratile (10 giugno) 1794 di Georges Couthon, membro del triunvirato. In virtù di questa legge, che riduceva ulteriormente le libertà individuali stabilite dalla precedente “legge dei sospetti” del settembre 1793, i poteri del Tribunale Rivoluzionario di Parigi divennero in pratica assoluti. Le condanne a morte emesse furono oltre 17.000.

Furono vietati gli avvocati difensori, cancellato il ricorso all’appello e negate le testimonianze a favore degli imputati. Chi tentava di scagionare gli sventurati veniva a sua volta accusato di cospirazione. Per tutti la condanna era scontata: la ghigliottina. In un mese e mezzo furono decapitati più di 1.300 “nemici della rivoluzione”. Tra le vittime dell’ondata repressiva troviamo il padre della chimica moderna Antoine Lavoisier, l’autore dell’assioma “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, e il poeta André Chénier. 

Il clima di terrore instaurato da Robespierre fu benefico per le sorti della rivoluzione poiché ridusse al silenzio l’opposizione e mandò un messaggio inequivocabile al popolo dubbioso. Assolto il loro compito, i tre principali artefici del Grande Terrore, Maximilien Robespierre, Louis Saint-Just e Georges Couthon, diventati oramai impresentabili, furono a loro volta ghigliottinati dopo essere stati deposti con il classico colpo di stato e giustiziati senza processo, come è prassi nei regimi dittatoriali. 

Intanto la regione della Vandea, di sentimenti monarchici e cattolici, si ribella al potere rivoluzionario. La risposta del regime è: massacrare. E massacro fu, anzi, se guardiamo all’altissimo numero di vittime – 250.000 morti su una popolazione di 800.000 abitanti – non è fuori luogo parlare di genocidio. 

La politica antireligiosa condotta dal governo repubblicano, sfociata nella “Costituzione Civile del Clero” che trasformava i preti in funzionari statali, venne mal digerita dalla popolazione della Vandea in maggioranza cattolica.  A ciò si aggiunse il malumore per le condizioni di vita che continuavano a peggiorare. 

L’aumento delle tasse e l’arruolamento forzato di trecentomila uomini per sostenere le guerre contro l’Europa, furono la classica goccia che fece traboccare il vaso. La risposta del villaggio di Doulon, il primo a insorgere, fu lapidaria: «Hanno ucciso il nostro Re; hanno cacciato via i nostri preti; hanno venduto i beni della nostra chiesa; hanno mangiato tutto quello che avevamo e adesso vogliono prendersi i nostri corpi… No, non gli avranno» 

In modo del tutto spontaneo la Vandea e le regioni a essa vicine insorgono. Dopo i primi momenti in cui impegnano i repubblicani in azioni di guerriglia, i combattenti con la coccarda bianca al petto riescono a organizzare un vero esercito che ha ragione delle guarnigioni repubblicane e prende il controllo dell’intera regione. 

In seguito, però, le forze inviate da Parigi, numericamente superiori e meglio organizzate, rovesciarono la situazione. Il popolo vandeano è sconfitto, ma non vinto: il fuoco continuava a covare sotto le ceneri. Fu allora decisa dall’Assemblea la totale cancellazione della Vandea. Attraverso tre successivi decreti, a partire dal 13 gennaio 1793, furono emanate le seguenti disposizioni: 
«Ogni capo di colonna dovrà perlustrare e poi bruciare tutti i boschi, villaggi, case e aziende agricole» 

«Ogni brigante trovato con le armi in mano sarà passato alla baionetta. Si farà lo stesso con le ragazze, donne e bambini. Le persone meramente sospette non saranno risparmiate» 

«I materiali combustibili di qualsiasi tipo saranno confiscati e inviati al Ministero della guerra per bruciare i boschi, i boschetti e i cespugli. (…) Le foreste saranno abbattute, i nascondigli dei ribelli saranno distrutti, le colture saranno devastate, il bestiame sarà confiscato. (…) La proprietà dei ribelli della Vandea passerà al patrimonio della Repubblica» 

La Vandea conosce allora un terribile massacro che durerà fino al 27 luglio 1794, come ci ricorda Giuseppe Messori, uno storico di fede cattolica.  «La massa dei vandeani catturati cresceva ogni giorno. S’istituirono allora le cosiddette “anticamere della morte”, specie di campi di concentramento, dove venivano ammassati uomini, donne e bambini in attesa di essere eliminati. Gli stermini di massa vennero accelerati dagli “annegamenti”, che potevano essere individuali, ma più spesso a coppie (chiamati sadicamente “matrimoni repubblicani”), oppure collettivi» 

Alla fine la Vandea fu pacificata, ma a che prezzo? La risposta la troviamo nel messaggio del generale Westermann al Comitato di salute pubblica di Parigi con il quale, il 23 dicembre 1793, annuncia trionfante la definitiva sconfitta degli insorti nella battaglia di Savenay: «Cittadini repubblicani, non c’è più nessuna Vandea! È morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue donne e i suoi bambini. L’abbiamo appena sepolta nelle paludi e nei boschi di Savenay. Secondo gli ordini che mi avete dato, ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli, e massacrato le donne che non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero da rimproverarmi. Li ho sterminati tutti… le strade sono seminate di cadaveri. Le fucilazioni continuano incessantemente»

In conclusione, ci domandiamo: …ma questi francesi, il 14 luglio, sanno cosa festeggiano?  (  https://excaliburitalia.wordpress.com  )

 

    di Gianfredo Ruggiero
       (12/07/2018)

 

 

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