Il caso di Vincenzo De Luca

Il caso di Vincenzo De Luca. Tre pesi e tre misure. Giolitti,  usava ripetere che le leggi si applicano ai nemici e s’interpretano per gli amici. Qui siamo oltre: per i colleghi di schieramento si negano.
di Davide Giacalone

 

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Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania

Il caso di Vincenzo De Luca, con l’uscita della legge Severino dall’orbita della realtà, segnala tre livelli d’illogicità giuridica e di doppiopesismo politico. Non rientro fra quelli che vorrebbero vedere subito sospeso il presidente della Campania, quindi subito applicata la legge che ne sancisce l’automatica decadenza (essendo egli condannato in primo grado). Dell’incostituzionalità, dell’ingiustizia e della cecità di quella legge scrivo fin da quando ancora la si discuteva. La votarono in tanti, troppi, unendosi la destra e la sinistra, guidate da un governo tecnico, sul testo di un ministro tecnico. A dimostrazione che i tecnici distintisi nel loro mestiere possono fare danni enormi, se chiamati a quel che non sanno fare. E quel governo, presieduto da Mario Monti, ne ebbe tanti, troppi, d’incapaci blasonati. Non posso certo scandalizzarmi oggi per quel che vidi già allora. Ma ci sono tre questioni, che il caso De Luca complica e incancrenisce.

1. Non è il primo amministratore pubblico che si ritrova con una condanna in primo grado, però gli altri sono stati sospesi dall’autorità prefettizia e lestamente sostituiti. Se la legge si dimostrerà incostituzionale si porrà un irrisolvibile problema: chi risarcisce i giustiziati? chi, cosa ancora più importante, i loro elettori? Perché se la legge è valida e si deve applicarla, il diritto è compromesso a Napoli e in Campania, con rinvii che vanificano il dettato legislativo. Se la legge è incostituzionale peggio, perché a essere stata offesa è la democrazia e la sovranità popolare.

De Luca ha tutto il diritto non solo di proclamarsi, ma di considerarsi innocente. Perché costituzionalmente lo è. Tale condizione, per lui come per tutti, viene meno solo con una condanna passata in giudicato. Ribadito tale suo diritto (che è a sua volta una valore collettivo), non si può non osservare una singolarità: la giurisdizione ha trovato da obiettare, a fronte dei loro ricorsi, sono nel caso del sindaco di Napoli e del presidente della Campania, che non solo insistono nella medesima area geografica, ma anche politica. Non occorre essere di destra o di sinistra, ma semplicemente persone civili per avvertire, a tal proposito, una certa inquietudine.

2. I casi degli altri amministratori, rimossi, sono del tutto pertinenti. Lo è meno il caso dell’unico parlamentare fatto decadere: Silvio Berlusconi. Ciò per una ragione formale: la decadenza è stata decretata da un voto d’Aula, non da un provvedimento amministrativo. E per una ragione politica: lo schieramento che Berlusconi guida votò a favore di quella legge, sicché chi è incapace non ha molto titolo a lamentare il frutto dell’incapacità. Noi avvertimmo, parlando, come di consueto, al vento. Nonostante ciò, però, va osservato che il voto per la decadenza venne da uno schieramento comprendente la sinistra e gli ortotteri, ma mentre i secondi non hanno cambiato idea, i primi l’hanno ribaltata, candidando e sostenendo casi altrettanto e forse ancor più nettamente incompatibili con la legge Severino. Giovanni Giolitti, che era un grande, non certo un malcapitato, come troppi dei contemporanei, e pur sempre uno che si tirò addosso le accuse moralistiche della sinistra (ma Gatetano Salvemini seppe pentirsi), Giolitti, dicevo, usava ripetere che le leggi si applicano ai nemici e s’interpretano per gli amici. Qui siamo oltre: per i colleghi di schieramento si negano.

3. La Severino vale per gli eletti e non per i nominati, al punto che, come ricorda Paolo Cirino Pomicino, nel suo ultimo libro (“La Repubblica delle giovani marmotte”, la cui parte più significativa è quella dedicata alla legge elettorale, con riflessioni che condividiamo e urliamo, anche in questo caso, fin da quando la si discuteva e, anche in questo caso, con il centro destra del tutto incapace di svolgere una funzione ragionante e ragionevole), abbiamo avuto un capo del Ros condannato a quattordici anni di galera, poi andato in pensione senza che la sentenza divenisse definitiva. Sta di fatto, però, che anche prima della Severino era possibile rimuovere dalle sue funzioni un dipendente pubblico condannato in primo grado. E’ ragionevole farlo, ma come si fa a volere la severità per i soldati e praticare il rinvio per i comandi? Ce lo vedete De Luca a rimuovere un dipendente della Regione, perché condannato in primo grado?

A me resta la brutta convinzione che non si fosse trattato di quelle persone e di quello schieramento i magistrati di merito non si sarebbero dedicati all’attesa. Me la faccio passare e osservo che, forse, De Luca ci porterà laddove mi sembrava opportuno stare fin dall’inizio, ovvero all’incostituzionalità della norma. Il tragitto, il modo e il tempo, aimè, sventrano l’etica pubblica non meno del diritto.  (  www.davidegiacalone.it  )

 

    di Davide Giacalone
      (04/01/2016)

 

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