Reddito di cittadinanza, ma poi chi lavora

Lavoratori e mantenuti. Estremizza una tipologia di welfare che fu concepita per un mondo diverso da quello nel quale viviamo. Può funzionare, forse, in un modello tipo le piantagioni di cotone nella Louisiana di un tempo, ma presuppone che altri facciano gli schiavi.
di Davide Giacalone
 
 

reddito-minimo-garantitoRoma–  Il reddito di cittadinanza sembra una bella cosa, ma non lo è. Ha un suono accattivante, ma restituisce una marcia funebre. Umiliante per l’individuo e impoverente per la collettività. Non funziona né nella versione larga né in quella stretta. Estremizza una tipologia di welfare che fu concepita per un mondo diverso da quello nel quale viviamo. Qualche numero aiuta a capire. Se con quella definizione s’intende un reddito assicurato a ciascun cittadino, per il solo fatto d’esser nato, resta da scoprirsi chi siano i fessi che si mettono a lavorare per produrre e pagarlo agli altri. Può funzionare, forse, in un modello tipo le piantagioni di cotone nella Louisiana di un tempo, ma presuppone che altri facciano gli schiavi. Capisco taluni nostalgici, ma non li apprezzo. Se lo si pensa alla versione small, quindi come reddito assicurato a bisognosi e disoccupati, poi non si capisce perché si polemizza contro gli enti inutili, i forestali senza foreste o il clientelismo. Il modello quello era, in fondo. Dicono gli odierni sostenitori: il reddito così assicurato genera consumi e gettito fiscale. Certo, pure tutti i nullafacenti a carico del contribuente hanno quella caratteristica, solo che generano anche pressione fiscale demoniaca e debiti. Sicuri strumenti di collettiva povertà.

Un interessante lavoro del Cato Institute ha quantificato i sussidi distribuiti in diversi paesi europei. Per un genitore single con due figli si va dai 31.079 euro annui della Danimarca  ai 18.183 della Svezia, ma paesi come il Regno Unito, la Finlandia, l’Austria, i Paesi Bassi e l’Islanda sono tutti sopra i 20.000. Per un disoccupato solitario si va dai 19.050 euro della Danimarca ai 10.722 dell’Austria. In quasi tutti i casi si tratta di cifre al di sopra della metà dei redditi medi. In tutti i casi sono redditi superiori ai salari minimi. I casi più “poveri” sono quelli della Slovenia e della Repubblica Ceca, che assicurano 9.937 e 5.219 euro ai genitori single, e forniscono 3.956 e 3.657 euro ai solitari. Ma in tutti e due i casi parliamo sempre di cifre ben al di sopra della metà dei redditi medi e quasi doppie rispetto ai redditi minimi. La domanda è: perché si dovrebbe lavorare, se non lavorando si guadagna di più?

Se prendiamo questi livelli di sussidi e li mettiamo a confronto con la distribuzione dei redditi (ai fini Irpef), in Italia, ne viene fuori un paradosso. La fascia di reddito più affollata, da noi, è quella di chi guadagna fra i 15 e i 20mila euro l’anno: 6.283.412 persone. Ma sono redditi lordi. Il livello di quei sussidi, che sono netti, compete, quindi, una volta assolti i doveri fiscali, con la fascia immediatamente successiva, che è la seconda per affollamento, quella che va dai 20 ai 26mila euro: 6.167.009 cittadini. Con un welfare di quel tipo, insomma, dovrebbero chiedersi perché stanno lavorando. I cittadini che presentano dichiarazione dei redditi e che percepiscono fino a 26mila euro sono, in Italia, poco meno di 31 milioni. Su 40.968.567 dichiaranti totali. Già lavoriamo in troppo pochi, se poi si disincentiva in quel modo vanno a lavorare solo i matti. E che siano matti lo conferma il fatto che pagano il mantenimento di tutti gli altri.

Morale: non funziona. Ne deriva che si deve rinunciare a ogni forma di protezione? No, ma si deve rinunciare a far propaganda a tre palle un soldo. Sicché:
1. i sussidi devono essere temporanei;
2. si perdono subito se si rifiutano le offerte di lavoro;
 3. anziché pagare i padri si deve spendere per assicurare scuole, mense e servi ai ragazzi (in questo modo creando mercato ed elevando la qualità dei futuri lavoratori);
 4. anche perché una generazione figlia di mantenuti sarà deprivata nell’orgoglio e convinta che consumare sia un diritto, mentre produrre un optional.

Il problema non è solo nostro, come raccontano i dati citati. Se l’Europa cresce troppo poco è anche perché lavora troppo poco e si permette troppo. Si pensa ancora potenza coloniale, ma non ha colonie e vive nella globalizzazione. Il tutto senza contare che la cultura del sussidio offende le radici della cultura dell’impegno e della responsabilità, secondo cui, come c’insegnarono i nonni, il lavoro è orgoglio, indipendenza, capacità di non scivolare nell’elemosina. Quei valori superarono il mondo dei latifondi e della nobiltà parassitaria. Davvero singolare che si voglia far passare come conquista il ritorno a quel che, fortunatamente, trasformò gli spocchiosi latifondisti nobilastri in decaduti narratori di vizi e dilapidazioni.  (  www.davidegiacalone.it  )

 

   di Davide Giacalone
     (14/09/2015)

 

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