Le api riconoscono un volto

Le API sanno contare e riconoscere un volto. Le api sono in grado di imparare come è organizzato un volto e distinguerlo dai numerosi oggetti del loro ambiente anche se ancora non riescono a distinguere un viso da un altro.
di Giovanni D’AGATA

Aurore-Avargues
La ricercatrice, Aurore Avargues Weber

Una giovane ricercatrice di Tolosa, Aurore Avargues-Weber, è stata premiata per il suo lavoro sulle API.  La sua tesi ha portato a dimostrare empiricamente “grande capacità di astrazione delle API: “Le api sono in grado di distinguere un volto umano da una qualunque altra immagine. “, lo dice la dottoressa Avargues-Weber, giovane ricercatrice dell’Università di Tolosa. Le API, poste all’ingresso di un labirinto, hanno identificato diversi segni rappresentati sulla mappa, e dopo un rapido apprendimento, hanno scelto regolarmente l’uscita che si erano segnata in quanto porta a una ricompensa. Nonostante un cervello piccolo rispetto alla testa, le API sono dotate di “buona visione e una grande memoria”.

Inoltre la ricercatrice dell’Università di Tolosa ha messo alla prova le api con diversi compiti. Prima ha insegnato loro a distinguere tra punti e linee disegnati a caso su un foglio e gli stessi segni organizzati in modo da comporre naso, bocca e occhi di un volto, seppur stilizzato. Quando le api mostravano di riconoscere l’immagine di un volto (posandosi sul disegno giusto) ricevevano po’ di zucchero. Successivamente ha provato a capire se le api, dopo aver ripetuto l’esercizio almeno cinque volte, avevano ormai imparato a riconoscere lo schema di un volto senza bisogno di una ricompensa. Scoprendo così che, anche eliminato il premio in zucchero, gli insetti si soffermavano sull’immagine giusta.

“Le api catalogano correttamente le figure quando sono formate da parti con una precisa posizione, come i lineamenti di un volto”, ha spiegato Aurore Avargues-Weber, coautrice della ricerca. Questa osservazione ha spinto la studiosa a effettuare un’altra prova: presentare agli insetti prima una fotografia sovrapposta al disegno di una faccia disegnata, poi la sola fotografia. In questo modo la ricercatrice ha cercato di capire se le api fossero in grado di riconoscere lo schema del disegno in un’immagine reale. Gli insetti hanno riconosciuto la fotografia sia in presenza sia in assenza del disegno, mentre non sono stati in grado di farlo quando la dottoressa scambiava, volutamente, le proporzioni tra naso, bocca e occhi o la loro disposizione nella foto.

 “Le api sono in grado di imparare come è organizzato un volto e distinguerlo dai numerosi oggetti del loro ambiente anche se ancora non riescono a distinguere un viso da un altro”. “E cosa ancora più straordinaria, riescono a fare questo lavoro di analisi di un’immagine utilizzando un cervello microscopico, mentre noi impegniamo intere regioni del cervello”.

Un’altra grande capacità è l’adattabilità all’ambiente, che ha dimostrato che questi insetti non erano solo guidati dal loro istinto. Grazie ad una prova effettuata all’aria aperta, la giovane donna ha evidenziato la loro capacità di “adattare il loro comportamento al loro ambiente ed esperienze”. Fino ad allora, questa capacità di mettere elementi in relazione è stata considerata dalla comunità scientifica come appannaggio di alcune scimmie ed esseri umani. “Spesso pensiamo che solo le grandi scimmie sono dotati di intelligenza, ma è falso”, insiste la signora Avargues-Weber.

La giovane donna ora intende capire come le API svolgono compiti di questa complessità con così pochi neuroni (1 milione, rispetto ai 100 miliardi per un essere umano). Lei sta prendendo in considerazione diversi spunti di riflessione: i loro cervelli hanno un più efficace metodo rispetto a quello umano per elaborare le informazioni? O potrebbe essere che un neurone è stato utilizzato per funzioni diverse?

 Un tentativo di risolvere questo enigma, porterà questa volta a studi di laboratorio. Oltre al mondo animale, l’osservazione sul funzionamento cognitivo delle API potrebbero aiutare a meglio comprendere il cervello umano e potrebbe influenzare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Inoltre secondo la ricercatrice, le molecole tossiche dei pesticidi “non uccidono direttamente le API, ma interrompono il loro sistema nervoso”. “La memoria diminuisce, perdendo e confondendo gli odori”.

I primi studi scientifici su questo insetto, osserva lo “Sportello dei Diritti”, sono apparsi all’inizio del secolo scorso. L’austriaco Karl Von Frisch aveva poi decifrato “il linguaggio delle API”: per indicare una fonte di cibo a loro congeniale, le API eseguono una danza. E aveva anche dimostrato la facoltà delle API per distinguere il colore. A suscitare la curiosità degli scienziati francesi era stato, nel 2005, Adrian Dyer della Monash University (Virginia, Usa). Dyer aveva insegnato alle api ad associare immagini di volti umani dietro ricompensa (una buona dose di zucchero), senza però chiedersi se gli insetti avessero riconosciuto nelle foto volti o fiori un po’ strani.

Oggi Aurore Avargues-Weber, 31 anni, ricercatrice presso l’Università delle scienze di Tolosa, è la francese premiata solo quest’anno dal programma internazionale della Fondazione l ‘ Oréal-Unesco “for women in science”. Creata nel 2007, assegna borse di studio dell’importo di 20.000 euro con l’obiettivo di incoraggiare le giovani donne di talento “a continuare la loro carriera scientifica”. Nata a Chalon (Saône-et-Loire), Aurore Avargues-Weber ha lavorato presso il centro di ricerca sulla cognizione animale dall’Université Toulouse III-Paul Sabatier, dove ha completato la sua tesi. ( www.sportellodeidiritti.org )

 

    di Giovanni D’AGATA
      (21/03/2015)

 

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