Arbasino, letteratura, maestri, penna

La letteratura? È una serva. Poi le calde serate romane. Alberto Arbasino,. Nei nostri remoti anni 50 e 60, posso ricordare che frequentavo soprattutto Calvino, La Capria, Malerba, Ottieri, Parise, Pasolini, Testori, di poco più anziani. 
di Serena Danna

 

Arbasino, letteratura, maestri, penna . Chi è nato dopo il 1980 vive con il telefax lo stesso rapporto che ha con il giradischi: sa cos’è e forse come funziona ma di fatto non lo usa mai. Alberto Arbasino, invece, utilizza solo il telefax. Accompagnato, all’occorrenza, da una segreteria telefonica che annuncia le ricezioni avvenute e gli imbarazzi dell’interlocutore. Comunicare con lo scrittore nato a Voghera nel 1930 è un’operazione a metà tra il divertissement e un test di ammissione. Tutta la sua vita da letterato e studioso d’avanguardia (anzi neoavanguardia, come amavano dire «quelli del Gruppo 63» per differenziarsi dagli esperimenti degli inizi del ‘900) lo è. Ma vietato chiamarlo intellettuale: «Io non sono un “intellettuale” come quelli che lo considerano “un ruolo”», dice. «Non avranno altre professioni? Una ne avrei: scrittore. Ma essendo privo di vanità, non lo metto sulle carte intestate».

A differenza di qualcuno che in passato si è sentito “mestierante” con carta e penna. «Quando usavano i biglietti da visita, un Premio Nobel lo metteva sotto il nome – “scrittore” – e senza il telefono». Chi fosse non lo dice, proprio lui che con le liste di nomi ci ha riempito la testa di dolce vita italiana e sogno americano. Come quando scriveva: «Nei nostri remoti anni 50 e 60, posso ricordare che frequentavo soprattutto Calvino, La Capria, Malerba, Ottieri, Parise, Pasolini, Testori, di poco più anziani. E i maestri di due generazioni prima: Gadda, Longhi, Palazzeschi, Praz». Post boom economico arrivano i “giovani arrabbiati” del Gruppo 63, il movimento letterario che si costituì intorno a Luciano Anceschi a Palermo nell’ottobre del 1963, con loro «le nuove affinità o congregazioni: soprattutto con Eco, Giuliani, Guglielmi, Manganelli e Sanguineti». 

Poi le calde serate romane tra Rosati, il Café de Paris e Doney: «Erano tutti a via Veneto: Fellini, Flaiano, Sandro De Feo, Ercolino Patti». A proposito del rapporto tra il regista della Dolce vita e il gruppo del «Mondo», Arbasino – che ha stroncato il film cinquant’anni dopo – racconta a Gabriele Pedullà in Riga nr. 18: «Quando Fellini ha cominciato a girare il film, la prima cosa che ha fatto è stato mandare i suoi assistenti dagli amici del “Mondo” o proporre lui stesso agli habitués di via Veneto: “Vorreste venire domani sera o stanotte a Cinecittà a partecipare alle riprese? Non dovete fare niente, solo stare lì ai tavolini a fare quello che fate di solito”». 

E poi la Milano di «Quasimodo, Testori, Citati, Montale», dove il futuro direttore Indro Montanelli sognava «una gauche più borghese nell’ordinaria Milano moderna». Infine l’America, la Francia, il mondo. Scriveva sul Corriere della Sera: «Ho fatto in tempo a conversare con Auden, Borges, Brodskji, Céline, Eliot, Forster, Jouhandeau, Mauriac, Nabokov. E anche con Adorno, Aron, Brandi Bellow, Cocteau, Compton-Burnett, J.Green, Henry Miller, Simenon, Spender, Edmund e Angus Wilson; e a pubblicare i relativi dialoghi». Non che sia riuscito a entrare in buoni rapporti con tutti: «Da Pound ebbi solo una risatina e una parola: “No”. La sola che ebbi da Beckett fu “Thank you”, perché stavo zitto».

Un patrimonio di uomini e idee che si scontra con la povertà culturale di oggi. «Trasgressioni, provocazioni, irriverenze impietose e scomode…Controcorrente? Fuori dal coro? Ma va là, questo significa sistemarsi nelle correnti e nei cori. Posti stabili, con poi la pensione». E il dibattito in corso sugli intellettuali? «Quattro chiacchiere per quattro gatti!». In definitiva gli intellettuali contemporanei sono per l’autore di La vita bassa «persone informate sui gatti».
Arbasino, che si è definito uno «scrittore espressionista e non barocco», perché «l’espressionismo non rifugge dall’effetto violentemente sgradevole, il barocco lo fa: è beneducato», non ha paura di essere tranchant. Lo è con l’Italia, perennemente «paese senza», come recita il suo libro scritto nel 1980 e riscritto dieci anni dopo, e con il suo problematico rapporto con l’estero: «Parlerei di colonialismo, ogni volta che si bada al “prestigioso estero” con complessi di inferiorità, mentre si viene considerati pasticcioni pittoreschi da qualunque straniero». 

Lo è con il futuro: «Certamente i media omologheranno e omogeneizzerano le menti e i cuori. Tanti auguri!». Seppure con una riserva, lo è con la letteratura: «Non è mai “servita” a niente. Meno che meno, adesso. Però ha spesso tentato di “mettersi a servizio” di qualcuno o qualcosa. E quando fa la serva si vede subito e viene magari considerata un po’ puttana. E così tanto peggio per lei». Ma ecco una fiammella di speranza: «Eppure la letteratura apre e muove tante idee, originali e talvolta grandiose; e può fare un magnifico lavoro nella manutenzione del passato: la Tradizione come conoscenza anche sul campo».

Per esempio? «Basta riflettere su Dante Alighieri: se l’è cavata benissimo anche senza conoscere ben sei secoli di letteratura, arti e musica. E anche senza voler prevedere Michelangelo o Verdi, ma trattando dell’Eneide e non dei Promessi sposi». Così per il futuro prossimo, il “nipotino” di Carlo Emilio Gadda che ha da poco compiuto 80 anni e resta un’icona di eleganza, con la sua erre moscia e le cravatte di seta, ha quasi pronta per Adelphi «una grossa raccolta delle scoperte fatte in America negli anni 50 e 60: cioè Harvard, Broadway, California, Off-off». 

Lo scrittore, che ebbe un giovanissimo Henry Kissinger come professore e Italo Calvino come primo editor (davanti al pacco di racconti Calvino gli disse: «Lo so che ti sanguinerà il cuore, ma è più savio debuttare con cinque pezzi, e non con quindici. Oltre tutto casca sempre l’asino al secondo libro, mentre il tuo secondo eccolo già qui»), ha un rimpianto: «Poco tempo per allestire un grosso volume di ritratti e ricordi italiani già pronti in gran parte e in ordine alfabetico, da Agnelli e Anceschi a Zeri e Zolla». Dove quel «già pronti» lascia immaginare che il telefax oggi riceverà parecchie offerte di aiuto.  ( www.ilsole24ore.com )

 

  di Serena Danna
   (23/04/2016)

 

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