Camon, A ottant’anni se non muori

La voglia di vivere: “A ottant’anni se non muori t’ammazzano” di Ferdinando Camon ci apre gli occhi sulla realtà degli anziani durante la pandemia. Dunque, chi merita di vivere? Quale vita è degna di essere salvata?
di Nicola Biasio 

Camon, A ottant’anni se non muoriCamon, A ottant’anni se non muori t’ammazzano. Senza alcuna esitazione, Enea si caricò sulle spalle il vecchio padre Anchise per fuggire dalla città di Troia in fiamme. Per questo motivo, il suo epiteto è pius. Se sostituissimo l’incendio di Troia con un virus mortale, chiede Ferdinando Camon, Enea salverebbe ancora Anchise? La risposta ai tempi del Covid-19, secondo l’autore, è negativa. La categoria sociale più colpita dal virus è, appunto, quella degli anziani. Ma non è soltanto una questione di età, è una questione di Stato, di Legge, di medicina, di civiltà. Di cultura. In questi tempi difficili, sembra che tutte queste istituzioni siano d’accordo col sacrificare il vecchio per salvare il giovane. In questo modo, la società si macchina dell’impiĕtas latina: «Per la stessa ragione per cui Enea è pio, la nostra medicina che abbandona i vecchi è empia, i nostri medici sono empi, la nostra società che li giustifica è empia» (p. 25).

Questa è la complessa tematica al centro del nuovo libro di Ferdinando Camon, A ottant’anni se non muori t’ammazzano, edito da Apogeo Editore. Più che un libro, Camon scrive un pamphlet-diario in cui riunisce le sue riflessioni dall’inizio dell’isolamento sociale alla fine del lockdown. Da una finestra, Camon, all’età di 85 anni, osserva ciò che succede attorno a lui: le strade vuote e silenziose, l’odore di alcol disinfettante che inonda i pianerottoli del palazzo in cui abita, i discorsi alla televisione del capo del governo, la corsa alle mascherine, le leggi del confinamento e gli escamotage per raggirarle (far passeggiare la propria tartaruga, portare il cane a un chilometro di casa perché abituato a urinare lì, etc.). Poi inizia il lavoro notturno di infermieri e medici per far uscire le salme delle vittime dagli ospedali. Le processioni dei camion carichi di bare. La nevrosi e l’isteria. Infine, la pura e semplice paura di tutto. Di tutti.

Tra le innumerevoli difficoltà che il nostro paese ha dovuto affrontare, la più difficile è sicuramente stata quella di scegliere chi salvare dal virus. E a questo proposito, Camon non si trattiene. Lo Stato e la Salute Pubblica ordinano che vengano curati prima i giovani poi, eventualmente, gli anziani:

Nell’inconscio di chi sente o legge la morte di un vecchio si fa strada il concetto che la morte di un uomo anziano sia un atto di giustizia: l’anziano non rende nulla ma prende molto, ha molti bisogni, cure, medicine, affetti, e nessuna utilità. (p. 19)

Di fronte ad una simile calamità, siamo obbligati a confrontarci con la dignità della vita altrui. In questo momento, sembra che la vita abbia una scadenza, oltre alla quale non vale più la pena lottare per salvarla. Dunque, chi merita di vivere? Quale vita è degna di essere salvata? Chi può essere lasciato indietro in nome di un “bene comune”? Data la sua avanzata età, Camon si annumera tra gli sconfitti della pandemia.

Io sarei un non-scelto, uno scarto. La mia vita di 85enne si può gettare per il bene comune, non vale la pena che si spendano soldi per mantenerla. È una vita inutile. M’interrogo, con la massima onestà che mi è possibile, su questa inutilità, sulla mia inutilità, sull’inutilità di ogni mio giorno. (p. 27)

Camon afferma che la paura che si ha con il coronavirus non la si sentiva dal tempo della Seconda guerra mondiale. E allora, la sirena delle ambulanze si trasforma in quella dell’allarme antiaereo, i corpi ammassati delle vittime della pandemia diventano quelli dei partigiani uccisi dai tedeschi e lasciati sprofondare nei fiumi, l’odore di alcol igienizzante si fonde con quello del disinfettante per le ferite dei soldati, i figli che vedono i propri genitori allontanarsi in ambulanza verso gli ospedali sono visioni speculari dei genitori che videro i figli partire per il fronte. La guerra militare si è trasformata in guerra biologica, cambiando le regole e le situazioni, ma non le sensazioni. Il morire in massa degli anziani significa perdere i loro ricordi delle atrocità del fascismo e della guerra, delle tradizioni contadine, dell’Italia del boom economico e degli anni del terrorismo. Se muoiono le generazioni precedenti ai nostri genitori, muore con loro la memoria di un’intera epoca che ci serve (e sempre ci servirà) per non commettere gli stessi errori fatti in passato. Ciò che non viene ricordato si ripete. Per questo «perché il mondo abbia giustizia, è bene che il giudice-testimone viva» (p. 31). Ed è quello che con tutta la sua produzione letteraria Ferdinando Camon ha cercato di fare: salvaguardare una memoria da trasmettere.

Seguendo sempre lo stesso obiettivo di tutti i suoi libri precedenti, quest’ultima opera compie un processo genealogico inverso: partendo dal presente getta uno sguardo sul passato. Se gli anziani non sono più produttivi a livello economico, lo sono a livello etico-educazionale, perciò altrettanto degni di sopravvivere alla pandemia. In questo modo, A ottant’anni se non muori t’ammazzano rappresenta la necessità e la volontà di vivere di questa parte della società che, al contrario, sembra condannata alla decimazione dal virus. «Ma non ho dubbi che quel lasciarmi morire equivale a uccidermi. Questo diario intimo non è un lamento, è un grido. Non voglio morire» (p. 32). ( https://www.criticaletteraria.org )

 

A ottant’anni se non muori t’ammazzano
di Ferdinando Camon
Apogeo Editore,  2020
Pag.. 92-  Euro 12 – ISBN: 9788899479701

 

 

     di Nicola Biasio
       (03/10/2020) 

 

 

 

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