Cassola metteva la faccia in ciò che faceva

Uomo leale e diretto, Cassola metteva la faccia in ciò che faceva e diceva. Toccò la stessa sorte vissuta negli anni precedenti da Pasolini, fatta di avversione, ostilità, isolamento.
di Vincenzo Pardini

Cassola metteva la faccia in ciò che facevaCassola e il disarmo. La letteratura non basta. Lettere a Gaccione 1977-1984 A cura di Federico Migliorati e Angelo Gaccione.
Introduzione

Ci sono scrittori che coinvolgono il lettore, qualsiasi argomento affrontino. Carlo Cassola è tra questi. Benché sia mancato nel 1987, la sua presenza continua ad essere assidua nel panorama della nostra letteratura. E non solo. Curati da Alba Andreini, oltre il Meridiano, Mondadori sta ristampando i suoi libri negli Oscar, apprezzati anche dai giovani. Carlo Cassola aveva fatto suo il principio che, uno scrittore deve sapersi spendere per la gente. Aspetto che emerge da queste lettere sul disarmo, indirizzate al collaboratore e sodale Angelo Gaccione, tra le cui righe incontriamo anche personaggi illustri, ai quali lui, sovente, non risparmia strali.                                             

Uomo leale e diretto, Cassola metteva la faccia in ciò che faceva e diceva. Artista nato, nella sua missione di scrittore (tale bisogna definirla, non lavoro) teneva al centro la vita e la sopravvivenza dell’umanità, che vedeva a rischio estinzione a causa del proliferare delle armi, cultura a cui nessun paese aveva e ha mai rinunciato, tantomeno l’Italia. Al riguardo, il suo pensiero era assoluto e controcorrente: l’umanità avrebbe dovuto rinnegare il concetto della guerra per aderire in senso totale (oggi si direbbe globale) a quello della pace. Un concetto che bene esprime in una delle sue lettere: “Come ebbi a scrivere in una amichevole discussione con Don Maria Turoldo, che è un membro della Lega, non si può essere antimilitaristi solo per cinque minuti e cattolici, marxisti e libertari per i resto della giornata. In questo modo si lascia che il militarismo prosperi: il torto del movimento di rinnovamento è stato di lasciarlo prosperare”. Poco sopra puntualizza che “la nostra Lega non è chiamata Lega per il disarmo italiano, ma ‘Lega per il disarmo dell’Italia’. È stato lasciato cadere l’aggettivo ‘unilaterale’, che i più hanno giudicato superfluo e controproducente. Io lo avrei conservato, perché mi sembrava caratterizzante e che servisse a distinguerci dalle innumerevoli iniziative pacifiste prese in passato e che non sono servite a niente”.

Benché gli fosse piaciuto mantenere ‘unilaterale’, sentito il parere dei più, vi rinuncia. Cosa che, ancora una volta, spiega il suo carattere: non solo pacifista, quanto civile e democratico nell’accezione del termine. Bella e significativa, questa corrispondenza, tra l’altro, ci porta a rivisitare la storia del secolo scorso che, se la compariamo con quella di oggi, specie riguardo alle guerre, ci avvediamo che niente è cambiato, se non in peggio. E, per dirla con Cassola, il mondo “può saltare in aria anche domani. Davanti a questa spaventosa e quasi inimmaginabile eventualità, tutto il resto diventa secondario. Mi vien da ridere quando mi vien dato del violento. Da parte di chi? Da parte di persone che non sanno di essere sedute sull’orlo di un vulcano”.  

 Nel frattempo il suo progetto di formare una Lega con numerosi iscritti prende sempre più consistenza; fra gli adepti, troviamo personaggi del calibro di Cesare Musatti, Ernesto Balduci, Roberto Guiducci ed Ernesto Treccani. In realtà intellettuali e scrittori restano distaccati, se non indifferenti; non tanto perché non condividano Cassola, quanto per non esporsi. Giuseppe Prezzolini ha scritto di loro (gli intellettuali) che in Italia sono “sempre stati di una sola tendenza – naturalmente con qualche eccezione – e cioè dalla parte di chi dominava o, nel caso dei più furbi, di chi stava per dominare”. 

Militari e militaristi non perdevano invece occasione di attaccarlo sui giornali. Questi ultimi, come Il Corriere Della Sera, iniziano a chiudergli le porte; ma lui ripiega su fogli e riviste di frontiera tra cui L’Asino. Cominciano tempi duri. Ma non demorde. Ha fede nelle sue idee di pacifista. Tanto che ad Angelo scrive: “Non abbiamo giornali, non riusciamo a farci sentire. Se potessimo farci sentire, sgomineremmo gli avversari in quattro e quattr’otto: dato che non hanno argomenti. Rimarrebbero militaristi solo i militari di carriera e i fascisti: tutti gli altri, cioè l’immensa maggioranza, verrebbe con noi”. L’ansia e la ricerca delle ragioni del disarmo, lo portano a vedere la natura sotto nuovi aspetti, si avvicina alla vita degli animali e li mette al centro della sua narrativa perché, dice, “parlano un linguaggio più universale degli uomini: le loro storie sono meno localizzate, potrebbero avvenire in qualsiasi parte del mondo. Non a caso, secondo me, che abbiano avuto un successo le storie di cani di Jack London o “La fattoria degli animali” di Orwell. La storia di un animale si presta meglio a divenire una favola morale che non una storia di uomini. La quale è per forza di cose molto circostanziata”. Pensiero che ribadirà in una intervista a Tino Dalla Valle su La Nazione del 16 gennaio 1978 allorché vince il premio Bagutta con L’uomo e il cane (Rizzoli editore) prevalendo su Alberto Arbasino e Giorgio Manganelli. Cassola, racconta il cronista, ha “gli occhietti vivaci in un volto quasi da asceta incorniciato di capelli bianchi”.

Ha 60 anni, la salute gli dà problemi, ma la forza di volontà di proseguire nel suo progetto di disarmo e di pace fra tutti i popoli non gli è venuta meno. Alla domanda di Dalla Valle se pensa che il riconoscimento del Bagutta potrà aiutarlo nella sua campagna per il disarmo unilaterale, risponde: “Certamente. In questa battaglia che conduco ormai da anni ho avuto molte delusioni dagli ambienti intellettuali, proprio dove credevo di trovare un maggiore appoggio. Non mi meraviglia questo, perché chi è già indottrinato fatica a modificare le proprie impostazioni ideologiche. La gente comune, invece, è stata più pronta a capire e sono molti che mi appoggiano senza riserve”. Dichiarazione in sintonia con queste lettere, nelle quali convergono anche considerazioni sull’arte di saper narrare, e dove non manca Flaubert.

Poi si sofferma sul periodo della Resistenza a cui prese parte, affermando che l’ha fatto crescere e maturare. Pagine intense, che svelano momenti anche inediti della vita di questo grande scrittore, l’unico, almeno da noi, che abbia perseguito, fino alla morte, l’idea che l’umanità dovrebbe abolire la cultura della guerra e instaurare quella della pace. Ma perché questo avvenga, bisognerebbe cominciare dalle scuole, capovolgendo il concetto che i grandi condottieri del passato, da Alessandro Magno a Napoleone, fino a quelli dei giorni nostri, siano degli eroi, mentre altro non sono che mandanti ed esecutori di stragi di massa, contro popolazioni sovente inermi quanto ignare e innocenti. Solo così si può sperare nella realizzazione di un cambiamento di mentalità e di cultura, prendendo coscienza che l’unica strada che l’umanità deve percorrere, per la sua sopravvivenza, è quella della concordia e della pace. Cassola, come gli antichi profeti, non ha avuto timore di far sentire la sua voce. Una voce di cui dovremmo farci carico come di un’eredità morale, e proseguire a diffonderla, in quanto il suo messaggio non è stato mai così attuale come oggi. 

Cassola e il disarmo. La letteratura non basta.  Lettere a Gaccione 1977-1984 A cura di Federico Migliorati e Angelo Gaccione, Ed. Tralerighelibri  2017, Pagg. 272 , € 18,00 EAN: 9788899141868 –  http://www.tralerighelibri.it/

 

    di Vincenzo Pardini
        (14/04/2017)

 

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