Fallaci, una solitudine piena di vita

Una solitudine piena di vita. Oriana Fallaci scomoda per tutti. Non piangeva mai, Oriana, perché aveva imparato a non avere paura di avere paura
di Pier Luigi Vercesi 

Fallaci, una solitudine piena di vita
Oriana Fallaci con il suo grande amore, Alekos Panagulis, oppositore dei colonnelli greci, che morì nel 1976 in un incidente sospetto

Oriana Fallaci, una solitudine piena di vita. Confessò di aver pianto rare volte e mai mentre gli altri cercavano una lacrima di paura o di dolore sotto ai suoi occhiali scuri. Uscita dalla camera mortuaria di Alekos Panagulis, l’amore della sua vita, la gente si dava di gomito: «Non piange nemmeno». Tutte le lacrime che aveva, Oriana Fallaci le versò nello stanzino stretto che dava sugli ulivi e su un pero, nella casa in Toscana dove si ritirò per scrivere Un uomo, non la biografia ma il racconto dell’anima a cui era stata aggrappata per tre anni, da quando smisero di torturarlo nelle carceri dei colonnelli greci a quando morì in un misterioso incidente mentre si apprestava a denunciare i mali della rinata democrazia ellenica.

Mentre il pero si caricava di frutti e perdeva le foglie per tre volte, unica misura del tempo nel suo esilio doloroso, al piano di sotto si spegneva sua madre. Negli ultimi giorni, quando il cancro le aveva intaccato le corde vocali e reagiva solo stringendo la mano e ruotando lievemente gli occhi, Oriana le confessò gioie e dolori della sua esistenza divenuta ormai celebre. Concluse ringraziandola d’averla messa al mondo. Suo padre stava varcando la soglia della stanza e la moribonda ruotò gli occhi nocciola, stringendole la mano per farle capire: lo devi anche a lui.

Al padre doveva la carenza di lacrime. Ne andava fiera, capo partigiano fiorentino nelle file di Giustizia e Libertà, incarcerato e torturato perché tradisse, ma mai una parola. Durante un bombardamento, Oriana cominciò a singhiozzare per la paura e lui le diede uno schiaffo: «Una ragazzina non piange». Se lo ricordò divenuta staffetta partigiana. Scorrazzava in bicicletta, beffando i posti di blocco tedeschi con le sue treccine e la faccia da bambina. E in Vietnam, quaranta chili per un metro e cinquantacinque di donna, tra le bombe al napalm e le sventagliate di mitra. Raccontò la guerra per «L’Europeo», settimanale che contribuì a fare grande con i suoi reportage. Fino ad allora le avevano assegnato servizi più femminili, attori e quant’altro, storie e vite di «antipatici» che vivevano in mondi irreali.

Non piangeva mai, Oriana, perché aveva imparato a non avere paura di avere paura. Ne scherzava anche, ad esempio con il suo editore Angelo Rizzoli. Lo andava a trovare prima di partenze impegnative. Lui che tutti riverivano. Entrava nel suo ufficio e gli toccava una spalla: porta bene. Dovendo raggiungere la Cambogia, si spinse a sfiorargli la pancia. «Come ti permetti, scimmia dispettosa?». Così le diede la sua benedizione.

L’avventura più tragica l’ebbe a Città del Messico, durante una manifestazione di studenti e operai nella piazza delle Tre culture. Due «pallottoline», come le definì, la centrarono mentre si era mischiata alla folla. Alla prima pensò: se resto viva rimarrò immobile. Paura fottuta ma non pianse. Alla seconda: mi dovranno amputare la gamba. Nemmeno allora pianse. La soldataglia messicana la trascinò via per i capelli, le strappò l’orologio dal polso e l’accatastò su una montagna di cadaveri. Quando riprese i sensi non pianse, imprecò così forte contro i suoi carnefici da risvegliare un prete. La portarono al pronto soccorso, dove da ore la stava cercando l’ambasciatore italiano. 

Avvenne in Messico, con un governo di sinistra, contro studenti inermi che non volevano le Olimpiadi. Allora cominciò a diffidare dei rivoluzionari: spesso abbattono i dittatori per prenderne il posto. Destra o sinistra, si aveva solo il dovere di sbattere in faccia ai potenti la verità. Cominciò a farlo intervistando i grandi della terra. Il segretario di Stato americano Henry Kissinger accettò, e mal gliene incolse. Raccontando lo scià di Persia lo definì un figlio di puttana con tale convinzione che l’ayatollah Khomeini accettò di riceverla, tutta fasciata di nero e in chador. Anche lì lasciò il segno.

Oriana Fallaci fu per tutta la vita una donna scomoda. Sembrava provasse piacere a esserlo. Come Alekos si sentiva un’anima solitaria. Si chiedeva come mai tante persone la detestassero e poi comprassero i suoi libri. La risposta è semplice: perché sono meravigliosamente pieni di vita. Solo lei si poteva raccontare, perché interpretarla era impossibile. (  https://www.corriere.it  )

 

  di Pier Luigi Vercesi
      (26/11/2019)

 

 

 

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