La distanza è sanitaria” non può essere sociale. Mai come in questo periodo, nel “Palazzo”, hanno traballato lingua italiana e logica. “Distanza sanitaria” e “vicinanza sociale. Proviamo a ragionare.
di Aldo de Francesco
La distanza è “sanitaria” non può essere “sociale”. Mai come in questo periodo, nel “Palazzo”, hanno traballato lingua italiana e logica. Sottoposto a “sudditanze” obbligate da parte di tecnici, esperti, tuttologi e consulenti, molti dei quali si sono distinti nei vertici emergenziali, ricorrendo a neologismi, acronimi, commi e chiose. Giova sapere che, in questi mega consulti, è tutto messo a verbale, dalle idee più originali alle immancabili sciocchezze.
Non è una novità quindi che qualche consulente, più preoccupato di doversi autopromuovere, ne abbia spifferato più di una. “Importante è partecipare”, non solo alle Olimpiadi ma anche alle remunerative “unità di crisi”. Ognuno lo fa come può.
Dai lontani conflitti sulla… “congiuntivite”, evocata solo come affinità fonetica per maldestro uso del congiuntivo, agli odierni “congiunti e affetti stabili”, su cui è ancora in corso il dibattito, non finisce mai di stupirci la “Nuova Burocrazia Politica Associata”, Chiacchiere & Palliativi. Se si pensa che sono quattrocentocinquanta le personalità “eccellenti”, scelte per un permanente illuminato supporto a questo governo, che illuminato non è, composto solo da qualche “elevato”, per dirla con il lessico cifrato di Grillo, era inevitabile che tutto ciò accadesse.
Ora però entrando nella mischia, anche se rischiamo pure noi di apparire “cruscanti”, vale la pena di correre questo rischio, che potrà più far bene che nuocere di certo. Ecco: c’è la espressione “distanza sociale”, il primo comandamento della rinascita, la più diffusa “preghiera quotidiana”, su cui deve fondarsi il nostro futuro dopo la tempesta “Virus-Canaglia 19”, davvero “indigeribile”. Indigeribile, chiariamo subito, non per la sacrosanta disciplina, che indica nuove regole di vita, ma per l’accostamento e l’accoppiamento, nel promuoverla, di due parole “contrarie e opposte”. Una contraddizione in termini, da classico e gigantesco “ossimoro”, una figura retorica bruttina, che spesso però fa giustizia di molte leggerezze e superficialità. Come in questo caso.
Proviamo a ragionare. La “distanza” è lo spazio che separa fra loro due luoghi, due oggetti, due persone, si dice difatti a due, tre passi di distanza da qualcuno; lo ricorda il dizionario della lingua italiana. Sociale, invece, un aggettivo di tutt’altro segno: significa socialità, condivisione, inclusione, stare insieme, da socio.
Dal termine medievale “compagno”, da “companio-companionis”, per dire di persona con la quale si condivideva il pane, “cum panio”, al Manifesto del Partito Comunista di Karl Mark e Friedrick Engels del 1848 e il suo perentorio invito: “Proletari di tutto il mondo unitivi” e ai successivi filoni socialisti, alla dottrina sociale, la socialità richiama soltanto un’idea solidaristica, comunitaria, oggi soffocata da “distanze” a tavola, in palestra, per strada, a scuola e in chiesa.
Poiché non possiamo credere che con la formula “distanza sociale” si voglia intendere uno stop ai rapporti sociali, oggi quanto mai necessari anzi indispensabili, ma è un modo improprio per voler sottolineare una “distanza di sicurezza”, quindi fisica; sarebbe stato più giusto e corretto parlare di “distanza sanitaria”, nel senso di una tutela da qualsiasi minaccia “vie aree o terrestri” da parte del virus.
Dopo una decine di decreti chilometrici, in cui a sentire imprenditori, amministratori, gente comune ci si è imbattuti in concetti oscuri, confusi, scritti male da dover ricorrere a successive correzioni, almeno in quest’appello cruciale e sovrano si poteva essere più diretti raccomandando il nuovo inizio con un proposito corretto, chiaro, speculare alla nostra odierna sfida, nel saper conciliare: “Distanza sanitaria” e “vicinanza sociale”. ( https://www.ilroma.net )
di Aldo de Francesco
(09/05/2020)
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