La moglie di Pilato è tempestata dalle domande

La moglie di Pilato. Nel corso di una notte Claudia Serena Procula, moglie di Ponzio Pilato, confida all’amico Lucio Anneo Seneca l’antefatto.
di Pina Baglioni 

la-moglie-del-procuratore-pilatoLa moglie di Pilato, Seneca e il Nazareno. Tratto dalla raccolta Morte di Adamo, capolavoro di Elena Bono e pubblicato da Garzanti sessant’anni fa, La moglie del procuratore è un racconto breve e intenso, che a tratti sconfina nella suspence del giallo, intessuto sulla lucida esposizione di fatti di cronaca. Grazie all’editore Marietti, (Elena Bono, La moglie del procuratore, Marietti, Genova, 2015) un anno fa il racconto è stato pubblicato singolarmente con l’intento di far conoscere al pubblico italiano la sua autrice. Scomparsa due anni fa nel silenzio assoluto della critica italiana, Elena Bono è stata una delle più importanti scrittrici della seconda metà del XX secolo. Apprezzata da Emilio Cecchi e Pier Paolo Pasolini, esordì nel 1952 come poetessa e poi come narratrice proprio con Morte di Adamo, una raccolta di racconti che ebbero grande successo soprattutto in Francia e in Inghilterra.

Le straordinarie pagine de La moglie del procuratore coinvolgono il lettore in un drammatico dialogo notturno tra la moglie di Ponzio Pilato e Seneca, precettore di Nerone, senatore e maggiore esponente dello stoicismo a Roma. Forse implicato in una congiura contro l’imperatore, nonostante si fosse ritirato a vita privata, Seneca cadrà vittima della repressione e sarà costretto al suicidio proprio da Nerone. La vicenda narrata si svolge nella casa di Seneca, a Roma.

Da molti anni lontana dall’Urbe, al riparo dai clamori mondani nella sua villa nella Pianura Padana, Claudia Serena Procula, ormai vedova di Ponzio Pilato, morto suicida, decide di rivedere il suo vecchio amico, Seneca. Si reca perciò alla casa di lui e lì vi incontra Flavio Scevino, Calpurnio Pisone e Plauzio Laterano, personaggi reali che nel 65 d.C. parteciperanno alla congiura di Pisone contro Nerone, e che moriranno tutti nella repressione successiva al fallito regicidio.

La moglie di Pilato. Nella casa di Seneca la donna è tempestata dalle domande degli altri ospiti: sulle sorti di Ponzio Pilato, sulla crocifissione del Nazareno e di un suo seguace, appena giunto da Gerusalemme a Roma da prigioniero, accusato dai giudei di oltraggiare la legge di Mosè. Il seguace è un certo Paolo che, con la sua predicazione, sta attirando molta gente.  Claudia però si guarda bene dal rispondere ai suoi interlocutori, adducendo a pretesto una lunga malattia che le aveva impedito, durante il processo, di seguire da vicino le vicende del Nazareno.

L’ambientazione creata dalla scrittrice è quella dei cenacoli intellettuali durante il principato neroniano (54-68 d.C.), periodo in cui il mondo plasmato da Roma aveva raggiunto un grado altissimo di civiltà. Nella prima parte del racconto, in primo piano, sta la migliore aristocrazia dell’Urbe che, grazie alla lezione del pensiero greco, ha imparato a relativizzare la morte e a dare un senso alla vita attraverso l’esercizio dell’ironia. Un’ironia mista a preoccupazione che si scaglia, nel corso della serata, soprattutto contro il piccolo gruppo di cristiani di Roma che vanno ad ascoltare ogni giorno la predicazione di Paolo. Dallo scambio di battute tra il gruppo di amici, emerge chiaramente che Seneca sa evidentemente molte cose su Paolo. Ma, anche lui come Claudia, cerca di sviare il discorso.

«Che cos’è la verità?»
Nella seconda parte del racconto, tutto si ribalta. Una volta sopraggiunta la notte, la casa si svuota, e Seneca e Claudia si trovano, finalmente, uno di fronte all’altra: Platone, Eraclito, Parmenide, Orazio e Virgilio non interessano più. Il tema che sta a cuore a entrambi è, infatti, ben altro: la sorte di Ponzio Pilato.

La moglie di Pilato.
Il procuratore della Giudea è descritto dalla moglie come un uomo fedelissimo all’imperatore e a Roma, ma talmente confuso e travolto dagli eventi da lasciare il Nazareno nelle mani del Sinedrio, e non riuscendo a perdonare se stesso per questo, morto suicida.  Claudia, infatti, descrive Pilato come un uomo assillato, fino alla fine dei suoi giorni, da un’unica domanda: «che cos’è la verità?», domanda che lui stesso aveva posto a Gesù (Gv 18,38), dal quale però non aveva avuto risposta.

Poi c’è lei, Claudia Serena Procula, vero architrave del romanzo. Della moglie del procuratore della Giudea parla la tradizione e il vangelo di Matteo che la cita (27,19): «Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua” ».  E la sua vita, da quel momento, non era stata più la stessa dalla stessa. Così racconta a Seneca: «Non ero agitata, ricordo bene… non avevo paura. Volevo solo vedere. E lo vidi… Mi trovai a pensare: hanno fatto del male a quest’uomo. E mentre lo pensavo, lui ha voltato il capo e mi ha guardata… Né da amico né da nemico lo volevo nella mia vita… Mi trovai ad essergli nemica, per aver tentato di essergli indifferente… Non so se ad essergli indifferente, riuscirà mai nessuno… E questo lo so per aver visto il suo viso nella notte».

E un’altra drammatica verità emerge nel dialogo notturno con l’amico: la sua gelosia nei confronti del crocifisso: «Quando mi resi conto che quell’uomo era entrato nella nostra vita e non ne sarebbe più uscito e tutto di noi sarebbe stato sconvolto dalla sua presenza, allora si svegliò il rancore dentro di me…vedevo che di giorno in giorno mio marito chiudeva il suo animo non a quell’uomo, ma a me, al resto del mondo… sempre solo con lui, sempre con quella domanda cos’è la verità? Di fuori ero io che restavo».   Seneca cerca, invano, di consolarla consigliandole di affidarsi alla filosofia. «Nessuna filosofia per me, Seneca» risponde Claudia. «Per me voleva dire soltanto: chi era il Galileo? A questo ho cercato una risposta».

I miracoli di Gesù di Nazareth
E quella risposta l’aveva cercata tra le povere donne che prestavano servizio nella sua dimora a Gerusalemme. E l’aveva chiesta a un soldato che aveva fatto la guardia a Gesù sul Calvario. E poi l’aveva cercata in quelli che avevano cominciato a raccontare di miracoli. Tanti miracoli. Come la resurrezione di un uomo chiuso nella tomba da quattro giorni. E che davanti a quella tomba il Galileo s’era messo a piangere «perché gli voleva bene», e poi gli aveva detto: «Vieni fuori». E il morto era venuto, come gli permettevano di camminare i piedi stretti nelle bende. Poi di ciechi che avevano riacquistato la vista. E di tanti altri che, solo per avergli toccato il lembo della veste, s’erano ritrovati con un cuore nuovo.

Poi c’era stata, dopo tre giorni dalla morte, la resurrezione di quell’uomo. Addirittura, uno dei due malfattori crocifissi insieme con lui aveva chiesto al Nazareno di portarselo in paradiso. Anche questo le avevano raccontato. 

Ma la cosa che l’aveva colpita di più, racconta ancora la moglie di Pilato, erano proprio quelle persone che avevano avuto a che fare con quell’uomo e che si erano convinte che fosse proprio il Figlio di Dio, come lui andava predicando: «Seneca, io mi trovai sprovveduta davanti al loro modo di considerare le cose. Era anche la prima volta che sentivo parlare di bontà di una creatura umana… Noi parliamo di singole virtù: religiosità, onestà, purezza, generosità, ma essi intendono qualche altra cosa che comprende tutto questo, ed è superiore, come un che di più caldo e più luminoso, la cui sorgente è altrove».

Il vecchio Seneca, intanto, ascolta, cercando di opporre ai fatti narrati dall’amica le sue obiezioni da filosofo. Lo fa con simpatia, senza giudicare, mostrando un grande interesse per tutto quello che lei gli sta raccontando.  Mentre le ore passano, e l’alba sta per sorgere, le ultime battute dei due amici sono riservate a Paolo di Tarso. Il seguace del Nazareno che Seneca conosce e che Claudia vuole incontrare: «Io ero venuta a Roma, lo sai, per parlare con Paolo… sentire da lui se così come sono… potessi sperare un giorno di esser tenuta per amica del Galileo…». Claudia però esita, si sente colpevole di non aver ammesso, la sera prima davanti agli amici, di conoscere il Galileo e di essere venuta a Roma per incontrare Paolo. Insomma, si sente in colpa per aver avuto paura di compromettersi. Così com’era avvenuto per suo marito, Ponzio Pilato.

«Va’ da Paolo, Claudia. Non aver paura», la incoraggia allora Seneca. «Tutto è meglio, piuttosto che restare tra due mondi; allora conviene scegliere come me le vecchie cose finite e finire con loro… Se tu ami il Nazareno con le sue spine, non vedo perché lui non dovrebbe amare te con le tue. Lasciami credere che questo vecchio possa servire ancora a qualcosa. Si può fare in modo che non ci siano terzi incomodi nel tuo colloquio con Paolo. Non è difficile. Farò cambiare il soldato di guardia… veramente s’era deciso di lasciargli questo, ormai; che vuoi? È una disperazione, ce li converte tutti… È bene che tu e Paolo parliate senza testimoni. Meglio che il Minotauro non venga a sapere né poco né tanto di quel che direte. Meglio anche per la vostra comunità».

Intanto il sole è ormai sorto su Roma, e i due amici si lasciano con la consapevolezza che quella è l’ultima volta che si vedranno: l’uno andrà verso il suicidio impostogli dal Minotauro. L’altra ad incontrare Paolo e i cristiani di Roma.  (http://www.romafelix.it  )

 

    di Pina Baglioni
    (12/12/2/2016

 

 

ViaCialdini è su www.facebook.com/viacialdini e su Twitter: @ViaCialdini