Le ricamatrici di Arcevia, la verità sull’eccidio

Le ricamatrici di Arcevia. Ai parenti delle vittime fu persino consigliato di non piangere. Perché le lacrime avrebbero provocato i partigiani. La verità sull’eccidio.
Redazione 

Le ricamatrici di ArceviaLe ricamatrici di Arcevia. << Mi sono sempre domandata che cosa abbia pensato la signora Maria Teresa Podestà, vedova Anselmi, quando si è resa conto che i partigiani stavano per ammazzarla>> mi confessò Livia, la domenica pomeriggio, quando tornai a casa sua. << Poi mi dico che, forse, non avrà pensato a niente. Sarà rimasta paralizzata dal terrore. Oppure, nell’ultimo istante di vita, si sarà chiesta: perché vogliono uccidermi?, non ho fatto nulla per meritare la condanna a morte…>>

<<Chi era la vedova Anselmi?>> domandai.

<< Era uno dei tredici civili assassinati dai partigiani ad Arcevia nelle Marche, tutti insieme e in una sola notte. L’ho sentita definire “ la strage delle ricamatrici”, anche se le vittime non erano tutte donne e le donne uccise non facevano tutte quel lavoro. La vedova Anselmi, ad esempio, era una signora borghese. Lo si intuisce da una sua fotografia: una donna di 63 anni, elegante, un nastro bianco al collo, un monile che mi sembra prezioso. Era la più anziana delle sei donne. Insieme a loro vennero uccisi sette uomini. Il più avanti negli anni ne aveva addirittura 77.>>

<< Non so nulla di questa strage>> ammisi.

<< Allora deve leggere il piccolo libro che ho qui per lei. E’ stato pubblicato nel 1989 dall’Ultima crociata a cura del Comitato per le onoranze alle vittime della strage. E s’intitola: La verità sull’eccidio di Madonna dei Monti di Arcevia. E’ un lavoro scrupoloso che descrive anche l’antefatto della strage. Vale a dire il retroterra militare della storia, quanto accadde nella guerra civile in quella zona prima del massacro. Lo legga, se vuole. Perché qui non starò a raccontarglielo.>>
<< Per quale motivo non intende farlo?>> le domandai, sorpreso. << Di solito lei è una narratrice puntigliosa, sempre disposta a descrivere gli eventi che precedano la vicenda di cui ci occupiamo.>>
<<Stavolta non lo farò perché la strage di Arcevia parla da sola>> mi replicò Livia. <<Una storia esemplare dell’inutile crudeltà messa in mostra dai partigiani, e non soltanto dai tedeschi e dai fascisti. Abbiamo imparato che nelle guerre civili le due parti si scannano senza pietà. Ma lo fanno quasi sempre con uno scopo, pur nefando che sia. Nel caso di Arcevia, di scopi politici o militari non ne esistevano. Di fatto la guerra era conclusa. E quei tredici civili non rappresentavano nessun pericolo per i partigiani vincitori.

<< Per di più, non erano nemmeno persone da punire>> precisò Livia. << Anche se dopo la liberazione delle Marche si cercò di giustificare il loro assassino con un’accusa infame e falsa. Affermando che erano spie al servizio dei comandi tedeschi. E che avevano provocato la cattura e l’uccisione di decine di partigiani. Una menzogna che, come le dirò fra poco, viene ancora spacciata a tanti anni di distanza. E dai soliti noti: reduci della guerra di liberazione, cronisti rossi, storici di parte.>>

Scossi la testa e replicai:<< Si è sempre detto così di quasi tutte le persone uccise dai partigiani durante e dopo la guerra civile. Nel progettare questo libro ho previsto un capitolo da dedicare al tema viscido delle spie, quelle vere e quelle presunte. Ma qui voglio subito rammentarle un aspetto della questione.

<<Se tutti gli uomini, e specialmente tutte le donne, eliminati dalle formazioni partigiane fossero stati davvero informatori dei tedeschi e dei fascisti, ne verrebbe distrutto uno dei miti più radicati della Resistenza: il carattere di massa dell’antifascismo. Dal momento che i collaboratori dell’occupante nazista e del suo alleato fascista sarebbero stati migliaia. Parlo di quelli attivi, disposti a rischiare la pelle per spiare i partigiani e denunciarli ai tedeschi o ai reparti della Repubblica sociale.>>

<< Sono d’accordo con lei>> dille Livia. << In realtà i tredici assassini di Arcevia furono vittime innocenti del fanatismo ideologico e sociale che pervadeva i loro boia: un distaccamento delle Garibaldi. Vale a dire partigiani comunisti, se non vogliamo nasconderci dietro un’insegna che può diventare generica e priva di senso.>>

<< Dove si trova di preciso Arcevia?>> chiesi.

<<E’ un comune in provincia di Ancona, collocato nell’interno a 535 metri d’altezza. All’inizio degli anni Quaranta contava quasi 12 mila abitanti: 1500 nel centro, gli residenti nelle quindici frazioni. In tempo di guerra, la popolazione era di certo cresciuta, per l’arrivo di parecchi sfollati.

<< L’eccidio avvenne il 14 luglio 1944, quando nella zona il conflitto era già terminato. I tedeschi si stavano ritirando, lasciandosi alle spalle soltanto piccole retroguardie con un compito difensivo. E i partigiani potevano proclamare di aver vinto.

Le ricamatrici di Arcevia. <<Tutto iniziò nella notte fra il giovedì 13 e il venerdì 14. I Tredici civili furono prelevati uno per uno, nelle loro case, e condotti in una località chiamata Madonna dei Monti, sulla strada che congiunge il paese con al città di Fabriano. Lì, in una radura di terra rossa, vennero pestati, seviziati e poi assassinati a raffiche di fucile mitragliatore. Non so dirle se siano stati uccisi uno dopo l’altro, in successione, oppure tutti insieme, in un gruppo solo. L’unico fatto certo è che nessuno rimase vivo.

<< Non sono riuscita a sapere molto sulle vittime. Ma in questo caso, più che in altri, è importante fermarsi sulle loro figure. Infatti bastano anche pochi cenni per comprendere la criminale inutilità della strage. Comincerò dalle sei donne>> mi spiegò Livia, <<andando in base all’età.>> …….

di Giampaolo Pansa

…. Tratto da “Giampaolo Pansa. I vinti non dimenticano. I crimini ignorati della nostra guerra civile” Ed. Rizzoli, Milano, 2010, Pag.466, Euro 19,50, ISBN 978- 88-17-04115-7

 

    Redazione
 (29/09/2014)

 

 

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