Malaguti, Dopo il diluvio

Leonardo Malaguti, Dopo il diluvio. Le atmosfere letterarie di Dopo il diluvio evocano le maschere allegoriche di Hieronymus Bosch. È sufficiente un telegramma a far muovere la girandola dei sospetti. Nei boschi tutti scorgono ombre sinistre. Sussurri si accavallano a grida. Sono spie?
di Alessandro Vergari

 

Malaguti, Dopo il diluvioLeonardo Malaguti, Dopo il diluvio. Un Pastore d’anime senza fede, erotomane, assiduo frequentatore del bordello locale; un sindaco inetto, debosciato e quindi punito da mano anonima per i suoi vizi orrendi; un’anziana donna affascinata in gioventù dal sangue sparso sui campi di battaglia, tanto da fingersi uomo per arruolarsi, andare in guerra e perdere felicemente un arto; un ex Generale, o presunto tale, ossessionato dalle cronache della peste di Atene narrate da Lucrezio e agitatore occulto del Caos; una giovane straniera destinata, suo malgrado, a trasformarsi in strega e capro espiatorio agli occhi di un collettività incarognita; un diligente commissario di polizia, rappresentante l’ultima, fragile sentinella a presidio della razionalità, risucchiato anch’egli verso il lato nascosto dello specchio. Sono, questi, alcuni dei protagonisti di Dopo il diluvio (Edizioni Exòrma), opera prima del venticinquenne Leonardo Malaguti, bolognese. Il romanzo è ambientato nella Germania rurale, un paesino lugubre, isolatissimo, timoroso dell’invisibile, una sorta di ‘Schabbach’, il luogo-culla del magnifico Heimat del regista Edgar Reitz, però intinta nel grottesco, piccola patria incrudelita. È un microcosmo popolato da larve d’uomini, anime meschine, abbruttite da una fatica cieca, avvilite da pregiudizi atavici e imbarbarite da una religiosità zuppa di superstizione. Le rape, complice una terra poco generosa, costituiscono la principale, se non esclusiva, fonte di sostentamento. L’autore non fornisce indicazioni storiche precise, anche se molti indizi rinviano, quale collocazione plausibile, alla prima metà del Novecento. Ma non potrebbe essere anche, e soprattutto, adesso?

Un segno mitico, eco burlesca del motivo biblico, marchia l’inizio delle vicende. “Le nuvole ormai avevano coperto completamente il cielo ruggendo lampi e tuoni e pareva che l’orizzonte fosse sull’orlo del collasso”. È estate, e il disastro si materializza, in forma di pioggia torrenziale, sulla testa di Thomas Marz, grezzissimo e violento contadino sposato con la povera Lisetska. Già, Lisetska, l’immigrata trattata dal marito peggio di una puttana, che fine ha fatto? Thomas la cerca, invano, mentre sul paese si abbatte il diluvio.“Da dietro una macchia di cespugli all’altro lato del campo sbucarono fuori un uomo alto e secco come un chiodo e una giovane ragazza dai capelli color stoppa, nudi come lombrichi”. L’idea cardinale del romanzo è un’invenzione beffarda. Le case del paese, tranne il bordello e il covo del truce Generale Kraus (la confusione della carne e la rigidità patologica dell’ordine, i poli opposti e complementari!), sono situate sotto il livello del mare, una depressione morfologica che riflette un’altra depressione, di diversa natura. I canali di deflusso sfociano in una cava e qui un tappo ostruisce il foro d’uscita… Il livello delle acque sale vertiginosamente. In pochi giorni, la conca è riempita fino all’orlo e causa, oltre alla distruzione dei già miseri raccolti, un numero imprecisato di vittime. Molti scompaiono nel nulla. In seguito, affiorano corpi sfigurati e irriconoscibili. Thomas Marz non tornerà più a casa, mentre la moglie, liberata dall’oscena presenza del marito, proverà a fuggire con l’amante oltre il confine.

Le atmosfere letterarie di Dopo il diluvio evocano le maschere allegoriche di Hieronymus Bosch. Domina un registro, come già detto, incline al grottesco. Il ritmo è serrato, sostenuto da una scrittura sicura di sé, ironica e luciferina. “Petersen alzò lo sguardo e indicò con dito tremante la punta di una betulla che svettava fuori dall’acqua come un giunco”. Il giardiniere Petersen fa parte di un trio di sopravvissuti, con lui il dentista e un luminare, rispettivamente assessore e consigliere comunale ad honorem, desiderosi di interpellare il rabbino Blum, uomo schivo, noto in paese per il rapporto simbiotico con la sua scrofa. “Lì stava Hershel Blum, simile a un marsupiale, col cappello, la barba e le basette ricciolute che dondolavano nella brezza mattutina. Stringeva fronte il tronco pallido con braccia e gambe e guardava dritto davanti a sé. La fronte aggrottata, il naso piantato nell’aria”. Blum acconsente a collaborare in cambio di un pezzo di formaggio. Il romanzo è tutto un fiorire vorticoso di immagini in bilico tra il comico e il sarcastico. Comiche, perché la commedia umana è svelata nelle sue miserie, debolezze, nefandezze. Sarcastiche, perché sotto la scorza del ridicolo pulsa un tragico incapace di riconoscersi. E laddove la tragedia abortisce, subentra la farsa.

Leonardo Malaguti, Dopo il diluvio. Che dire del pessimo Thulin, Pastore capace di pratiche autoerotiche davanti al quadro della Maddalena, avvolto dalla nube della follia dopo la scoperta di una prossima paternità? Che dire della sua prostrazione fisica ai piedi di un Cristo-Spaventapasseri in piena campagna, estasi scambiata dai fedeli per profetismo eremitico, in realtà adorazione blasfema, solitaria, di un simulacro di famiglia (lui, la prostituta ‘Ciccia Jenny’ e il figlioletto), una rappresentazione sacro-profana fatta di pigne, con tanto di bambino-pinolo? “La voce roboante di Fischer lo raggiunse da centinaia di metri di distanza, mentre all’orizzonte spuntavano come formiche le teste dei processionanti. Silenzio! Sveglierete il bambino! Ma quelli non potevano sentirlo e continuarono a urlare e saltare e battere sul tamburo. Scusa, piccolo mio, è per il tuo bene, disse al pinolo mentre con estrema delicatezza lo sollevava dalla casetta e lo infilava nella tasca della giacca”. Malaguti mette in scena la degenerazione spettacolare dei valori morali tradizionali e l’istituzione a regola dei bassi istinti comuni. Se le sagome dei singoli sono ritagliate nell’allegoria, la cornice del racconto è metaforica. L’alluvione è solo l’innesco di una malattia sociale, all’inizio strisciante ed avvertita unicamente da Adam Van Loot, il buon commissario, impegnato nell’indagine sull’assassinio con l’acido del sindaco. Nel frattempo accadono fatti terribili e inconsueti: un innocuo barbone è spinto giù dalla guglia del campanile; il Signor Keller, mite collaboratore di Madame Gebick, la tenutaria, viene preso dalla foia e violenta una ragazza del bordello; un balordo scuoia per dispetto il maiale del rabbino ed il suo proprietario, disperato, si impicca. Una spirale inarrestabile di crudeltà, che si condensa nel personaggio di Florian Krauss, mefistofele di provincia a metà strada tra il Kane/Orson Welles di Quarto Potere e il Colonnello Kurtz/Marlon Brando di Apocalypse Now. L’orrore, l’orrore della caccia all’uomo (in particolare alla donna), del delirio di massa, della frustrazione individuale che ammicca al fascismo…

Il nemico è alle porte! È sufficiente un telegramma a far muovere la girandola dei sospetti. La Capitale è davvero caduta? Nessuno è in grado di accertarsene. Nei boschi tutti scorgono ombre sinistre. Sussurri si accavallano a grida. Sono spie? Avanguardie di truppe nemiche? Si formano, istigate da Krauss, brigate composte da gente comune, ronde malamente assemblate, minacciose per la cupa stolidità che emanano al passaggio. L’attenzione è rivolta, però, all’interno. I bersagli naturali dell’intolleranza sono gli innocenti, i deboli, gli indifesi: le prostitute, additate a quinta colonna del demonio, gli affamati, ladri di polli elevati al rango di traditori del popolo, e ovviamente i non autoctoni, gli immigrati, i diversi. La cruda fine di Lisetska è una gemma di alta letteratura. “Guardarsi negli occhi non era il caso, come dopo un’orgia da ubriachi”. La vergogna dopo il misfatto, il disgusto sordo di sé, di fronte all’irreparabile. Un duello quasi western tra Adam Van Loot e Florian Krauss, aggravato da ragioni personali, sigilla il romanzo, lasciando un senso di sconfitta nel cuore.“Rimase soltanto il futuro, quello che avrebbe riportato tutto indietro”. L’odio è un punto di non ritorno, o, forse, di eterno ritorno. Il Pericolo, quello reale, è un golem che sfugge alle intenzioni umane. (http://www.gliamantideilibri.it/  )

Leonardo Malaguti “Dopo il diluvio” 
Exòrma edizioni, 2018
Pag 216, € 14,90 – ISBN: 9788898848737

 

    Generica
 (01/11/2018)

 

 

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