Nella sottomissione non c’è futuro

Non ci può essere futuro nella sottomissione, e quando si vede che il proprio spazio vitale viene minacciato, bisogna lottare per garantirsi dei diritti che sono frutto di lotte e sacrifici
di Flavio Bertolini 

Nella sottomissione non c’è futuro Nella sottomissione non c’è futuro. La situazione critica che stiamo vivendo è sicuramente un momento di forte riflessione sul sistema di potere e di organizzazione sociale in cui siamo inseriti.

Dalla forza della partecipazione come prospettiva condivisa di un futuro costruito con l’unione delle forze e delle eccellenze alleate per superare i problemi, ci troviamo a condividere un modus operandi che sviluppa il meccanismo di controllo attraverso la regolamentazione delle scelte e del tempo. Cosi diventa fondamentale sapere cosa uno sta facendo, e come passa il suo tempo, per garantire che non sia in grado di esprimere una forma di critica troppo emancipata rispetto alle regole imposte dal sistema. In un certo senso c’è una mutazione di un modello di controllo tipico delle strutture autoritarie basato sulla sottomissione.

Il concetto di sottomissione non è ascrivibile ad un popolo che si definisce autonomo, nè tantomeno ad una persona nel pieno delle proprie forze e potenzialità, che ha il diritto di esprimersi nel lavoro e nella sua piu libera coscienza vitale. E’ questo un diritto, non una concessione e quando viene messa in discussione, si può ben far riferimento al parametro della dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo

Nel pieno dell’emergenza coronavirus, sembra che la strada per cambiare la società italiana sia quella dell’accettazione di un nuovo ruolo sociale, a cui i cittadini devono adeguarsi, quello di esecutori omologati alle prescrizioni di un potere che si è autodeterminato.

Gli obiettivi sovranazionali di organizzazione sociale rappresentano cosi delle linee guida a cui è giusto adeguare la propria politica sociale ed economica.

Questo modo di affrontare il cambiamento è tipico di una mentalità collettivista che tende a scardinare le differenze in nome di un livellamento egualitario, che porta ad uno scadimento delle eccellenze e della voglia di fare, per dare spazio ad un controllo del cittadino, che è portato ad seguire protocolli impostati senza il suo consenso, che rispondono ad interessi di cui lui non è portavoce.

Il rischio più grave della sottomissione, in particolare di tipo culturale, è la dominazione, che conduce ad uno scadimento della propria autonomia decisionale, delegandola a qualcun altro che può disporne secondo il proprio pensiero. Pensare da sottomessi porta quindi ad essere dominati. 

Questo è un punto fondamentale per capire i tempi del cambiamento.

Nel meccanismo di espressione del potere, mitigare il dissenso e omologare la consapevolezza nei confronti di quello che viene proposto, percependolo come l’unica soluzione e quindi quella necessaria, grande importanza hanno gli intellettuali e il sistema delle comunicazioni di massa.

Quando viene decisa una strategia, il problema di solito è quello di farla accettare alle masse, con un forte martellamento comunicativo affidato a personaggi influenti e diffusione mediatica. Mi viene in mente la campagna “andrà tutto bene”, e il condizionamento che ha creato. 

Un aspetto che si lega alla sottomissione e ha gravi conseguenze nella coscienza di sé e del proprio ruolo, è, che questo modello porta a realizzare uno stato d’essere per cui il fare qualcosa si rivela faticoso e che non conviene più spendersi per una crescita personale in quanto non economicamente sostenibile, nè praticabile, e visto uno spreco di energie non accettato dal sistema.

Questo aspetto può determinare la perdita della propria autonomia e l’affidarsi allo stato, può essere un segno di rinuncia alla valorizzazione delle proprie potenzialità. Il rischio di un isolamento prolungato, che impone un’inerzia differenziata, con l’astenersi dalla pratica lavorativa, conduce ad un logoramento lento, vissuto soprattutto a livello mentale. I problemi rimangono problemi, e possono ingigantirsi, e non c’è elaborazione di soluzioni, perché le soluzioni vengono delegate a qualcun altro che non è detto sia in grado di decidere il meglio per noi.

Nelle situazioni emergenziali e di crisi, viene così ad essere rilevante la qualità della classe dirigente. E’ facile intuire che, anche rapportandosi a livello personale, una persona dotata di capacità superiori e competenze adeguate, riesce a superare meglio ogni momento di difficoltà. Non è il tipo di crisi, ma come si è strutturati per affrontare la crisi che fa la differenza e le risposte che si mettono in campo sono espressione di questo modello organizzativo.

Osservare una dinamica decisionale che delega il principio di responsabilità a qualcun altro, quando questo principio è il valore aggiunto che dovrebbe avere chi occupa posizioni apicali, rappresenta il termometro di una mancanza di visione e competenza che il ruolo richiede.

La sottomissione è anche questo, il rendersi conto che non si può fare altro che accettare e sperare che quello che viene imposto sia la soluzione migliore. Affidare la propria capacità di discernere, convinti da un presunto senso di inferiorità, che è spesso di tipo manipolativo.

La soluzione è quella di reaction, reagire in modo consapevole, cercare di restare padroni delle proprie scelte e indirizzarle alla guida della vita. Soprattutto nella valutazione o esclusione dal proprio tempo, del tipo di narrazione che la varietà dei media propongono dei fatti quotidiani.

Non ci può essere futuro nella sottomissione, e quando si vede che il proprio spazio vitale viene minacciato, bisogna lottare per garantirsi dei diritti che sono frutto di lotte e sacrifici. Non è possibile negare ad una persona il diritto di utilizzare il suo tempo al meglio per lavorare e rendere la sua vita più ricca di soddisfazione e significato.

 

di Flavio Bertolini
 (07/05/2020)

 

 

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