Staglianò, la nostra terra

Staglianò, ai miei tempi la situazione era pessima, non c’era nulla, si lavorava peggio degli schiavi. Si lavorava tanto, ma non si vedeva alcun benessere. Non c’era altra scelta che emigrare. L’umiltà, la ricchezza d’animo della gente comune sono la storia del nostro Paese.

di Michele Luongo

 

Stagliano-Paolo
Paolo Staglianò

Trento  – La società quasi con cinismo calpesta i valori, gli ideali, pur di partecipare alla folle corsa del successo. Non c’è settore che non ne sia contagiato, ma quello che fa più senso è il “Dotto -intellettualismo”.  Invece, l’umiltà, la ricchezza d’animo della gente comune è un forziere dove la società ben pensante farebbe bene attingervi di tanto in tanto un po’ di umanità .
Lo scorso settembre il giovane Alessandro, un ragazzo della Calabria, mi affascinava per l’intensità d’amore e  di partecipazione verso la sua famiglia e l’entusiasmo con cui mi parlava del suo nonno Paolo,  ottantunenne, che ancora oggi, quotidianamente, si reca in campagna a lavorare il campo di vigneto e  uliveto. Debbo ammetterlo mi ha talmente incuriosito, che non ho potuto fare a meno di andare insieme a fare visita al nonno in campagna.
Un campo ordinatissimo, minuziosamente lavorato in ogni  sua parte, vedere quella persona anziana tagliare l’erba con la falce, centimetro dopo centimetro, mi apriva un mondo a cui non era possibile rinunciare.
Paolo Staglianò, cla1930, figlio di contadini in Chiaravalle Centrale in provincia di Catanzaro, in  Calabria, una terra che ancora oggi vive la piaga dell’emigrazione.
Ci parli della sua giovinezza?
C’è poco da parlare. Ho lavorato tanto, ma non si vedeva alcun benessere. Non c’era altra
scelta che emigrare.  A diciassette anni , senza vestiti né scarpe,  a piedi, ho attraversato l’Italia, le Alpi  dove per il passaggio alla frontiera  francese ci agganciavano ai contrabbandieri . Contavo di lavorare nelle miniere di carbone in Francia. Qui, vista la mia età, l’ufficio emigrazione mi faceva ritornare in Italia.
Poi, desideravo fare il Carabiniere, ma non mi presero per insufficienza  toracica e l’altezza, disturbi al cuore. Ma mi presero a fare il soldato, qui andavo bene!!!
Dove ha fatto il militare?
A Genova  – Cuneo  – Palmanova ,  quindici mesi come militare assaltatore, specializzato mitragliere, in Fanteria. Ricordo la Zona B e  la vigilanza al Sacrario Re Di Puglia , ai tempi di Tito 

Dopo il militare?
Aiutavo i miei genitori nei campi, cercavo lavoro, ma non si andava avanti. Poi nel 1955 mi sono sposato. Tirare avanti la famiglia non era cosa facile. Così incominciai ad emigrare in Svizzera.

Non c’era alternativa?
Allora la situazione era pessima, non c’era nulla. Qui si lavorava peggio degli schiavi . Quando pagavano, ripeto quando pagavano, ricordo, davano  400 lire al giorno.
Non c’era lavoro.  C’era il potere, i fascisti divennero democristiani, i briganti erano sulle montagne. Oggi, invece, sono nelle città.

In svizzera come trattavano gli emigranti ?
Bisognava lavorare, ma  pagavano. Diritto e doveri. C’era rispetto!
Per la lingua era un problema. Ci comandavano nella loro lingua, noi non capivamo cosa dicevano, ci sforzavamo a capire  facendo segni con le mani.

Quanti anni da emigrato?
Sono stato in svizzera fino all’anno 1995, mi ci recavo ogni anno dalla primavera all’autunno. Per l’inverno tornavo  a casa, troppo freddo.  
 
Una volta in Italia si è dedicato alla campagna?
Sì, ho ereditato il campo dei miei genitori in località  S. Nicola Gannoli nel comune di Argusto, a circa due km da casa che tutti i giorni faccio a piedi. Mi sveglio alle  quattro di mattina , con il sole, la pioggia o la neve,  e piano piano vado in campagna. Poi verso  le tre del pomeriggio vengono i miei nipoti a prendermi, ma una volta tornavo a anche a piedi.

Non si sente solo in campagna?
No. Qui sto bene. In paese mi sento solo. Tutti a dire o a fare: sono o non sono.
Qui in questo campo tocco materialmente la pace della vita  non c’è bisogno di correre.

E’ un lavoro faticoso. Quali attrezzi usa?
Faccio tutto a  mano. Uso la  zappa, la falce, la roncola ecc, metro per metro lavoro tutto il campo, come vede è a terrazze, vigne e alberi di ulivo. E’ un lavoro duro, ma non mi stanco è  qualcosa che faccio con queste mani e mi fa stare bene.

Vedo che in campagna ha degli animali?
Sì, ci sono nove gatti: Lilla (la mamma), Leo, Marlen, Carlo, questi i più grandi, poi ci sono i piccoli. Girano per il campo, mi sono vicino quando lavoro e quando mi riposo. Ora sono appisolati anche loro.

Cosa pensa nel vedere il suo campo?
Quando lavoro sto bene, quando mi riposo penso al passato, a quando ero giovane, a quando sono andato in Francia scalzo. Desideravo fare il Carabiniere, ma non mi presero. Chissà come sarebbe stata la mia vita?  
 
Ho notato che ha poco udito, è dipeso dal lavoro, dal soldato o da altro?
Per i duri lavori sulle strade  della Svizzera, erano tanti e forti i rumori dei macchinari, degli attrezzi. Dopo tanti anni l’udito è andato.

Cosa ne pensa della Calabria di oggi?
Fa schifo è peggio di prima. Si perde tutto. E’ un disastro: s’iniziano i lavori e poi non si capisce più nulla . Non esiste il controllo. Gli uffici sono pieni, si rispetta il personaggio, e il rispetto va  in base a  come uno si veste e del come si  mette in mostra. C’è poco rispetto per chi svolge un lavoro “normale”.

Dell’Italia cosa ne pensa?
E’ meglio dell’America, è la nazione più bella che esista, ma mancano gli italiani.

E della politica italiana?
E’ quella che rovina l’Italia. E’ un potere che pensa per se.

Quale è il suo pensiero sui giovani d’oggi?
Hanno poca voglia di lavorare. Tutti cercano il posto fisso. Non si può essere tutti uguali, c’è sempre diversità: belli, brutti, ricchi e poveri, e c’è lavoro e lavoro. Così stiamo perdendo le nostre risorse e non sappiamo riconoscere la ricchezza della nostra terra.

 

di Michele Luongo ©Riproduzione riservata
                  (12/09/2011)

 

 

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