Storie del ghetto

Storie del ghetto di Budapest di Giorgio e Nicola Pressburger.  Sappiamo molto del ghetto di Varsavia, abbastanza del ghetto di Venezia. Ma prima dell’infanzia dei fratelli Pressburger nell’Ottavo Distretto, del ghetto di Budapest non sapevamo niente.
di Luisa Debenedetti 

Storie del ghetto Storie del ghetto di Budapest di Giorgio e Nicola Pressburger è una raccolta di storie degli ebrei di Budapest. Lo sceneggiatore Giorgio Pressburger e il giornalista Nicola Pressburger erano fratelli gemelli fuggiti dall’Ungheria nel 1956 che si stabilirono in Italia. Questo volume scritto a quattro mani, riunisce due pubblicazioni che potrebbero essere definite come un rito di rievocazione del loro mondo perduto: Storie dell’ottavo distretto e L’elefante verde.

“Storie dell’ottavo distretto” sono ‘racconti’ che si discostano da come la maggior parte dei lettori concepisce il genere, infatti sono suggestivi schizzi di personaggi, descrivono bambini e bellezze invecchiate, osti e rabbini, calzolai e commercianti d’oche del ghetto, zingari e suonatori che vivono in questa zona di Budapest: l’Ottavo Distretto, appunto.

La lettura non è particolarmente travolgente, ma il lettore si trova di fronte a un testo di grande bellezza e maturità, scritto in un italiano asciutto e ironico, sul mondo ebraico povero e poco assimilato della Budapest di prima e dopo la guerra; sono dieci racconti delicatissimi ambientati nel quartiere ottocentesco di Budapest divenuto principalmente ghetto ebraico. In quella miseria, dove i gemelli sono cresciuti, tra i mercati luridi e le atmosfere misteriose del Tempio, case scrostate e vite sofferte con “strani lampi di ansia negli occhi”, in bilico sull’immane tragedia storica, si svolgono storie bellissime e strazianti di personaggi memorabili, come la splendida Ila Weiss con i suoi sette innamorati o il bizzarro Leuchtner, storie eccezionali, come: “Il Tempio” in cui la struttura, che avrebbe dovuto svolgere una funzione protettiva, diventa una prigione infernale per i bambini del quartiere durante l’occupazione nazista; “Le Tavole della Legge di Selma Grün”, la cui protagonista è una “donna grassissima… nota per la sua prodigalità che rasentava l’incoscienza, ma anche per i suoi terribili accessi d’ira”, che si convertì al cristianesimo per poi tornare all’ebraismo; e “Sciolet”, in cui l’adorazione di un ragazzo nei confronti di un cugino alla lontana, nichilista, che insegue ogni gonna del quartiere, si trasforma in disprezzo quando quest’ultimo si rivela essere un vessatore vendicativo e violento.

Nel racconto finale, “Natan”, il viaggio di un giovane attraverso le pagine dello Zohar, il libro dei libri della saggezza della Kabbalah, lo porta faccia a faccia con i rabbini cabalistici dell’antichità, ai quali chiede il motivo del dolore e della sofferenza nell’Ottavo Distretto e del suo “brulicare di esseri miseri, colpiti da pazzia e da malattia, condannati all’ignoranza e all’afflizione.” Nelle sue visioni, Natan vede un futuro pieno di “profumati giardini e serre variopinte.” e di bambini felici, una ricompensa per gli anni di abbandono e miseria subiti dal quartiere. Ed è su questa nota di speranza che i Pressburger terminano la loro, spesso cupa, rappresentazione di uno dei pochi quartieri ebraici dell’Europa orientale sopravvissuti sia a Hitler sia a Stalin.

Storie del ghetto di Budapest. “L’elefante verde” combina finzione con autobiografia. Complementare al precedente “Storie dell’Ottavo Distretto” e suo seguito ideale, questo breve romanzo autobiografico dipinge nitidamente le alterne vicende di tre generazioni di ebrei ungheresi tra affanni di sopravvivenza, piccole gioie familiari, persecuzioni hitleriane e staliniste, alle prese con un misterioso sogno da decifrare e dal significato da trarne per dare un senso alle loro difficili vite. I gemelli Pressburger, autori del libro e protagonisti della terza generazione della famiglia in esso descritta, sono maestri eccelsi nel descrivere un mondo perduto di piccoli e grandi uomini e donne, che nuotano tra mito e realtà, tra gioie e dolori, tra bianco e nero e colori vivi come in un quadro di Chagall. L’unica nota leggermente negativa sono gli ultimi due capitoli, dissonanti nel loro contenuto e soprattutto nel loro impianto narrativo. Malgrado ciò, questo romanzo è un piccolo gioiello.

Il libro, nella sua interezza, è un’opera di eccezionale prosa narrativa italiana contemporanea: la coppia di Autori scrive in italiano, ma è profondamente radicata nelle tradizioni ebraiche di Pest ed è associata a queste tre culture. La perfetta combinazione di questi molti elementi ha portato a un risultato così chimicamente puro che è difficile credere come le narrazioni siano composte secondo leggi di attrazione e repulsione associate a culture diverse. Eppure parlano del passato e del presente di una piccola comunità ebraica nei pressi di Piazza Teleky verso la fine del secolo scorso. La prosa dei Pressburger, con il suo sobrio equilibrio fra tragico e grottesco, rappresenta la singolare e felicissima continuazione, in italiano, di una tradizione letteraria nata in un’altra lingua e in un altro contesto nazionale.

La loro connessione più ovvia, infatti, è con la cultura italiana e non solo per gli aspetti linguistici. Il concetto italiano di Europa centrale si è evoluto dopo la guerra per contrastare le richieste del totalitarismo marxista, anche accettando opere letterarie di ogni sorta di totalitarismo.

Storie del ghetto di Budapest. Il rapporto dei fratelli Pressburger con la cultura italiana è caratterizzato dal suo non essere polarizzata verso concetti storicamente o politicamente orientati piuttosto che dalla lingua. La pendenza lenta e cauta delle frasi, attentamente elaborate, dà un’impressione stranamente asettica: la lingua è trasparente e neutra, come talvolta è la lingua usata nelle traduzioni, il lettore è a suo agio in questo ambiente culturale ebraico non europeo. I vari protagonisti si sentono a casa nel vecchio mercato di piazza Teleky che è il teatro quasi esclusivo delle Storie. Il mercato è molto più di un semplice luogo, è uno dei personaggi principali: è una sorta di marcatore genetico stravagante che, tra il dare e talvolta il saccheggio, trasforma il destino della sua gente.

Le Storie si leggono come reminiscenze aneddotiche e ricordano il tono dei “Dubliners” di Joyce nel loro intento di combinare il mondano con il trascendente.

Ne consiglio una lettura calma, che consenta di farsi sorprendere dalle atmosfere contemporaneamente mitiche e abiette, insolite per la nostra letteratura, ma soprattutto per cogliere il lirismo di questa prosa disadorne e cruda e il realismo illuminato da perturbanti accensioni metafisiche. (  https://www.librierecensioni.com  )

Storie del ghetto di Budapest
di Giorgio e Nicola Pressburger
Marsilio Ecditore,2019
Pag.224, Euro 16,00 – 978-88-297-0254-1

 

   di  Luisa Debenedetti
      (14/12/2019)

 

 

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