Il Rosenkavalier alla Scala

Il Rosenkavalier di Strauss firmato Harry Kupfer. Alla Scala di Milano con una regia minimale e malinconica, che costruisce un’ambientazione senza tempo, galleggiante tra la Vienna di fine settecento e quella di inizio novecento, mescolate in un unicum di evocazioni.
di Marco Nebuloni   

Rosenkavalier-alla-scala-_Dalla sempre più fitta collaborazione tra Teatro alla Scala e Festival di Salisburgo arriva a Milano il Rosenkavalier di Strauss firmato Harry Kupfer. Un regia minimale e malinconica, che costruisce un’ambientazione senza tempo, galleggiante tra la Vienna di fine settecento e quella di inizio novecento, mescolate in un unicum di evocazioni.
L’opera stessa di Richard Strauss, per la quale il compositore tedesco fu nominato cittadino onorario della capitale asburgica, si presta ad un’interpretazione di questo genere. Se è vero che la trama, e l’origine del lavoro, affondano le radici nella commedia di stile italiano (quella fatta da maschere, prototipi grotteschi di un’umanità dissacrata) filtrata dal Molière del “Monsieur de Pourceaugnac” e dal Da Ponte/Mozart de “Le nozze di Figaro”, è tuttavia impressionante la quantità e la qualità dei valzer ottocenteschi di cui l’opera è densissima, che ricordano la città nella sua splendida e aurea parabola decadente: un interessante dialogo tra rococò e belle époque, secondo lo stile del compositore bavarese.

Il libretto è di Hugo von Hofmannsthal, in collaborazione con il conte Harry Kessler. Il soggetto si fonda su un doppio triangolo amoroso e il classico intreccio ad equivoci

Atto I. La Marescialla principessa von Werdenberg e il giovane conte Octavian intrattengono una liaison amorosa clandestina e ne stanno cogliendo gli appassionati frutti quando vengono interrotti prima da un servo e poi dal barone Ochs von Leschenau, cugino della Marescialla. Questi, uomo rozzo e grossolano e in crescenti difficoltà economiche, si è fidanzato per interesse con la giovane Sophie, figlia del ricco borghese Faninal che vuole così introdurre la propria famiglia alla nobiltà austriaca. Per coronare la proposta ufficiale di fidanzamento occorre la tradizionale consegna della rosa d’argento da parte di un cavaliere: la Marescialla propone il suo bell’Octavian per questo ruolo onorifico, il cavaliere della rosa appunto. Il giovane si è nel frattempo reintrodotto a palazzo travestito da cameriera di nome Mariandel e, nel trambusto provocato dall’arrivo di diversi servitori e postulanti (tra cui ben tre italiani: un cantante d’opera in cerca di assunzione e i due faccendieri Valzacchi e Annina, che offrono con successo i propri servigi a Ochs), cattura senza volerlo le attenzioni sconvenienti del vecchio barone. Rimasta finalmente sola, la Marescialla può finalmente deridere il suo imbarazzante parente, ma al contempo si rattrista nella constatazione dell’avvenenza del suo Octavian, che rischia di consegnare nelle mani di una nuova amante più giovane e bella di lei, Sophie.

Atto II. In casa Faninal Octavian porge la rosa d’argento a Sophie come da comando, ma nella solitudine della stanza si avvera il presentimento della Marescialla: i due ragazzi non possono fare a meno di parlarsi amabilmente e, così facendo, di innamorarsi l’uno dell’altra, contro i piani di Faninal e di Ochs. Ochs e i suoi servitori intanto stanno fornendo pessima prova di sé nel lussuoso palazzo e Sophie, sconvolta dall’amore per Octavian, rifiuta la mano del grezzo pretendente: Faninal, costernato, non sa come uscirne. Di più, Valzacchi e Annina, alle dipendenze del barone, hanno spiato i due giovani scambiarsi promesse d’amore e ne informano il loro padrone. Ne nasce un trambusto caotico, nel quale Octavian ferisce il maldestro barone ed è costretto ad allontanarsi da palazzo. Prima di congedarsi definitivamente dalla scena il giovane conte, nei panni della cameriera Mariandel, fa consegnare ad Ochs un biglietto d’amore per mezzo di Annina. Questa, sentendosi trattare malamente dal barone, decide di passare al nemico.

Atto III. Octavian, aiutato dai voltagabbana Annina e Valzacchi e da altri suoi servitori, prepara una burla in gran stile. In una locanda Ochs intrattiene quella che crede essere la cameriera Mariandel, facendo insistenti e volgari proposte indecenti. La somiglianza con Octavian tuttavia lo turba ma non si scoraggia, i piaceri della carne lo sviano dai dubbi. Nella bettola però iniziano a comparire loschi figuri che turbano il barone, sempre più preoccupato. Infine compare la stessa Annina, che in abiti vedovili finge di riconoscere in Ochs il defunto marito, e alcuni marmocchi che lo chiamano insistentemente papà: il barone, sconvolto, chiama la polizia. Mentre il Commissario procede con l’interrogatorio, nel quale Ochs si dichiara promesso sposo di Mariandel, che spaccia per Sophie Faninal, arriva lo stesso signor Faninal, seguito dalla Marescialla e dalla vera Sophie. Il barone non sa come levarsi d’impiccio e, al colmo del disonore, tantopiù che Octavian si è smascherato, è costretto ad andarsene schernito da tutti. Sophie, un poco delusa dalla condotta scanzonata di Octavian lo vuole rifiutare, ma è la stessa Marescialla, ormai conscia dell’andamento delle cose e decisa a fare un passo indietro, a riappacificare ed unire i due amanti. Faninal, a rischio di crepacuore, può tirare un sofferto sospiro di sollievo: infine la sua figlia sposerà un rampollo della nobiltà viennese.

La regia di Kupfer è piuttosto statica, fondata su esigui ed essenziali elementi di scena che riecheggiano le architetture e gli arredi della Mitteleuropa neoclassica e romantica. Il palco si trasforma in una scacchiera irregolare, sulla quale scorrono gli elementi di scena, il fondale è invece percorso da proiezioni dei paesaggi urbani viennesi, visti da prospettive insolite e stranianti. Dominano tinte fredde, in particolare il nero e il bianco, con tappezzerie azzurre nel primo atto e pavimenti marmorei nel secondo. Le prospettive sono tutte sfalsate da punti di fuga incrociati. Il terzo atto ospita l’esterno di un’osteria ricostruita realisticamente, con una grossa balena meccanica per insegna (molto bohémien), un tavolaccio con divano e un sudicio letto a baldacchino. L’opera si chiude con una grossa macchina d’epoca bianco avorio che trasporta i due giovani amanti lontano dal palco ormai deserto. Il comico e il burlesco sono adombrati da una lettura molto più mesta e disillusa, come se le Nozze di Figaro lasciassero il passo al Falstaff di verdiana memoria, le cui attinenze nella vicenda del resto non mancano affatto.

Interessanti i riferimenti intrecciati alle diverse epoche del fasto austriaco, che però non costruiscono un effetto veramente caratterizzante e pregnante. Nonostante diverse intuizioni interessanti, l’effetto complessivo è di un pesante immobilismo.

Magistrale la direzione del maestro Zubin Mehta, sul podio scaligero ancora una volta con grande soddisfazione di pubblico. Il suo stile sobrio e disincantato solletica le corde più malinconiche, e ironiche, della partitura straussiana. In buca d’orchestra posiziona tutti gli archi al centro, spostando a sinistra i legni e i corni e a destra gli altri ottoni, l’effetto vaporoso e melodioso è assicurato. L’inconfondibile stile di Mehta soffuso e dilatato non disdegna di lasciarsi trasportare dal brio fresco e leggero dei valzer e dai giochi di rimando dei leitmotiv espliciti.

Ottimo il coro e le voci bianche, diretti dal maestro scaligero Bruno Casoni, ormai una pietra miliare del Piermarini.

Molto bene tutto il cast. La Marescialla principessa von Werdenberg è Krassimira Stoyanova, soprano che domina l’aspetto serio dell’opera con piglio sicuro e voce convincente. Il barone Ochs von Lerchenau è Gunther Groissbock, che si esprime con accento viennese, anfitrione comico e basso di notevole verve teatrale, degno successore dei buffi ai quali è ispirata la sua parte. Il conte Octavian è la bella mezzosoprano Sophie Koch, intensa ed espressiva, molto brava nel ruolo en travesti. Nella recita del 17 giugno alla quale abbiamo assistito è stata sostituita prima del secondo atto a causa di un malessere dalla sua giovane sostituta, che ha sorpreso il pubblico per freschezza della voce, qualità tecniche e l’intraprendenza con cui ha debuttato alla Scala in una situazione inaspettata.

Bene Sophie, la soprano Christiane Karg, leggera e limpida nei suoi delicati fraseggi. Perfetto nella parte anche il vecchio Faninal, il baritono Adrian Erod, in un ruolo comprimario gustosissimo, che forse il libretto stesso non premia a dovere. Bravi cantanti e attori i due intriganti italiani Valzacchi e Annina, Kresmir Spicer e Janina Baechle. Degno di nota il tenore italiano, Benjamin Bernheim, che si esibisce in una parte brevissima ma affatto semplice, che richiede un’ampia tessitura e una tecnica belcantistica.

Sul palco si susseguono una quantità di altri personaggi minori, tra cui un notaio, Dennis Wilgenhof, la governante Marianne Leitmetzerin, Silvana Dussmann, il maggiordomo della Marescialla, Franz Supper, il maggiordomo di Faninal, Michele Mauro, il Commissario di polizia, Thomas Baufer. Nel novero di postulanti e servitori si esibiscono Roman Sadnik, Massimiliano Difino, Emidio Guidotti, Massimo Pagano, Andrea Semeraro, David Meden, Yannick Lomboto e i solisti dell’Accademia del Teatro alla Scala Theresa Zisser, Kristin Sveinsdottir, Mareike Jankowski, Cecilia Lee, Sascha Emanuel Kramer.

Il favore di pubblico è travolgente e premia la messinscena con insospettabile generosità.
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    di Marco Nebuloni  
      (10/08/2016)

 

 

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