Ennesima violazione della Costituzione

“Sveltine costituzionali”. “Povera Costituzione”. Eletto il trentanovesimo presidente. Posto che è stata istituita nel 1955 (era prevista nella Costituzione, già il primo gennaio 1948. La prima udienza è 1956. Posto, che ha 58 anni, e considerato che un presidente (riforma del 1967) dovrebbe restare in carica tre anni (art. 135, quinto comma), rieleggibile una sola volta, ne deriva che, a oggi, i presidenti sarebbero dovuti essere al massimo 19. 

di Davide Giacalone

Ennesima violazione della CostituzioneRoma – Non hanno avuto vergogna. Anzi, è una vergogna, quella dei presidenti sveltina, cui alla Corte costituzionale si sono affezionati. Hanno eletto Giuseppe Tesauro, che scadrà il prossimo 9 novembre. L’ennesima violazione della Costituzione, l’ennesimo attentato al funzionamento della Corte. E per l’ennesima volta nel silenzio politico e istituzionale. A cominciare dal presidente della Repubblica, che pure potrebbe farlo rilevare, giacché la Corte è guardiana della costituzionalità delle leggi ordinarie, ma il Colle lo è della Costituzione. Ricalpestata.

Molti sono convinti che tale ignominia sia indotta dal desiderio di accaparrarsi qualche ulteriore privilegio, andando in pensione da emeriti. Peggio: non ci sono guadagni pensionistici, solo chiacchiere e distintivo. L’interesse privato sarebbe un’attenuante, mentre qui siano davanti a mera prosopopea. Per inseguire la quale si condanna la Corte a sopprimere la funzione stessa della presidenza, dato che non si può coordinare nulla in tre mesi, ferragosto compreso. Talmente ciechi di vanagloria da non rendersi conto d’essere piombati nel ridicolo. Talmente ridicoli da avere perso anche il senso dell’umorismo, perché ce ne vuole, gentile presidente Tesauro, per riuscire a dire che “troppa velocità non sempre è un bene”. Si riferiva alle riforme costituzionali, ed ha anche ragione, ma detto da uno che passerà prima d’essersi accorti che è arrivato, suvvia, è grottesco.

Corrono tempi tristi, per chi conserva sensibilità istituzionale e cultura costituzionale. Tempi, del resto, in cui un surreale dibattito parlamentare è animato da gruppi che recitano ciascuno la parte che più gli aggrada, interpretando uno il ruolo dell’intrepido innovatore, l’altro quello dello strenuo oppositore, taluni quello dei pensosi timorosi, talaltri quello dei leali pattisti. Vanno a braccio e recitando a soggetto, non perché virtuosi declamatori, ma perché privi di sensato copione. Il che non propizia la svolta autoritaria, che è favola illusoria di chi crede esistano ancora forze (magari oscure) in circolazione, ma, piuttosto, lo sfarinamento nell’impotenza e nell’agitato vaniloquio. Che è assai più pericoloso.

Su tutti, ancora una volta, il Quirinale. Che ieri insediò una commissione di saggi costituzionalisti e ora copre e accompagna una riforma costituzionale che neanche somiglia alle conclusioni di allora (appena un anno fa). Certo, anche lì si disegnava un Senato delle Regioni (ovvero delle istituzioni che hanno più rovinosamente e costosamente fallito), ma leggete cosa scrivevano al punto 12: le riforme costituzionali vanno tenute lontane da conflitti e polemiche politiche, “per questa ragione il Gruppo (si maiuscolavano da soli, n.d.r.) propone che la revisione costituzionale si compia attraverso una Commissione redigente mista costituita, su base proporzionale, da parlamentari e non parlamentari”. Decisivo il punto 15: “Il tema della legge elettorale è connesso a quello della forma di governo”. Solo che della forma di governo neanche si discute. Si punta a rafforzare l’esecutivo spezzando il Parlamento, mentre la legge elettorale si forma e deforma a seconda delle convenienze contingenti. Che oltre a essere metodo deprecabile è anche fesso: chi si fa la legge su misura perde le elezioni successive.

Giorgio Napolitano passa, nel giro di un solo anno, da essere patrocinatore di queste tesi a sostenere che le riforme costituzionali possono ben essere promosse dal governo (un tempo sarebbero inorriditi in molti), che devono essere approvate senza pretendere troppo di discuterle, mentre da ridiscutere è la legge elettorale, scissa da qualsiasi ragionamento sulla forma governo. Un bel salto, con qualche ricaduta quirinalizia sul potere legislativo e i suoi chiassosi e ossequiosi abitanti. Forse lo guida il sogno d’essere il presidente delle riforme, dopo avere passato una vita a essere il parlamentare che vi si opponeva. In quest’Italia ci sono plotoni di cattedre universitarie, formazioni politiche, intellettuali vari, che, da anni, deglutiscono silenti e acquiescenti lo scempio ridicolissimo dei presidenti sveltina. Che sfregiando la Corte costituzionale raccontano anche di quanta coscienza e conoscenza manchino, alla pretesa classe dirigente. (www.davidegiacalone.it )

 

    di Davide Giacalone
       (02/08/2014)

 

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