Fincantieri, Stx e il potere politico

Nuovo schiaffo a Fincantieri: in Europa ci sono sovranisti più uguali degli altri. In breve il governo francese si rimangia in pochi mesi due accordi, prima minacciando la nazionalizzazione, poi invocando l’intervento dell’Antitrust europeo.
di Federico Punzi

 

Fincantieri, Stx e il potere politicoL’ennesimo capitolo nella vicenda Fincantieri–Stx dimostra quanto la retorica dei “campioni europei” venga fatta valere a senso unico, solo nel caso in cui si stia trattando l’acquisizione di una compagnia italiana, di uno dei tanti nostri (ex) gioielli industriali. Che siano i nostri “competenti” i primi a bersela, e a raccontarcela, questa retorica, è l’aspetto tragicomico… 

Ma facciamo qualche passo indietro.

Nel mese di aprile 2017, Fincantieri vince la gara per l’acquisizione della francese Stx, detenuta all’epoca dai coreani di Stx Offshore & Shipbuilding con una quota del 66 per cento, e sigla con il governo di Manuel Valls una mediazione per effetto della quale la maggioranza del capitale sociale passa in mani italiane. Nel luglio 2017, però, dopo l’elezione all’Eliseo del “liberale” Emmanuel Macron, il nuovo ministro dell’economia Bruno Le Maire annuncia l’intenzione di Parigi di azionalizzare  i cantieri Stx, aprendo la ben nota crisi tra governo francese e governo italiano, guidato allora da Paolo Gentiloni. La mossa aveva come obiettivo, spiegato tramite la stampa, di strappare migliori condizioni a Fincantieri.

Dopo un braccio di ferro e duri scambi di battute, a settembre il governo di Roma accetta una nuova intesa che modifica l’assetto societario. Fincantieri mantiene solo formalmente e temporaneamente la maggioranza: le quote vengono divise 50 a 50 con lo Stato francese, ma quest’ultimo accetta di “prestare” per 12 anni l’1 per cento ai partner italiani, riservandosi il diritto di revocare il prestito in qualsiasi momento. Al tempo stesso viene annunciato l’avvio di una fase di studio per la costituzione di una joint venture sulla cantieristica militare tra Fincantieri e Naval Group. Il nuovo assetto viene formalizzato nel febbraio 2018, mentre la collaborazione con Naval Group nel campo navale militare viene ufficializzata a ottobre scorso alla presenza dei due ministri della difesa, italiano e francese.

Se non che, l’8 gennaio 2019 apprendiamo dalle agenzie di stampa che la Commissione europea ha accolto la domanda, presentata dal governo francese (a novembre 2018!), e sostenuta da quello tedesco, di un’indagine dell’Antitrust sulla proposta di acquisizione dell’ex Stx, oggi Chantiers de l’Atlantique, da parte di Fincantieri, nonostante siamo molto al di sotto delle soglie di fatturato che richiedono la notifica alla Commissione per la dimensione europea della fusione.

In breve, Fincantieri vince una gara internazionale per l’acquisizione degli ex Stx. Il governo francese si rimangia in pochi mesi due accordi, prima minacciando la nazionalizzazione, poi invocando l’intervento dell’Antitrust europeo sul patto che loro stessi avevano sottoscritto. Richiesta appoggiata dalla Germania. E guarda caso è tedesco il più grande competitor europeo di Fincantieri: Meyer Werft. Quindi, il colmo: si cerca di impedire a un’azienda italiana, europea, di detenere la maggioranza di una francese quando si è concesso a una cordata sudcoreana, extraeuropea, di controllarne addirittura il 66 per cento. Si ricorre all’Antitrust per l’operazione Fincantieri–Stx, da 10 miliardi di fatturato, mentre la franco-tedesca Airbus con 70 miliardi di fatturato non desta preoccupazioni monopolistiche, anzi in quel caso vale l’interesse “europeo” ad avere un colosso capace di competere a livello mondiale e addirittura viene sussidiata e agevolata fiscalmente.

La tempistica della richiesta a Bruxelles – diversi mesi dopo la chiusura dell’accordo tra le parti – non può non destare sospetti: ma che sia dovuta al tentativo di bloccare l’operazione perché ritenuta a Parigi non più affine all’interesse nazionale, o più miseramente a una ritorsione tutta politica contro il governo gialloverde, il punto della questione non cambia. Quante volte abbiamo sentito farci la predica dei cosiddetti “campioni europei”? Di fronte alle acquisizioni di attività italiane in qualsiasi campo – dalla finanza all’agroalimentare, dalle telecomunicazioni alla moda – ci viene ricordato quanto esse siano inevitabili e desiderabili, perché ormai solo grandi compagnie di dimensione europea possono competere sui mercati globali.

Ciò in gran parte, soprattutto in alcuni settori, è senz’altro vero. Il problema è che però questi discorsi sembrano valere solo al di qua delle Alpi. Da vicende come quella di Fincantieri si deve concludere che i deboli – politicamente – come l’Italia debbano piegarsi alla logica dei “campioni europei” e subire lo shopping aggressivo delle proprie aziende, mentre nei pochi casi in cui è una grande realtà industriale italiana a potersi permettere di fare shopping in casa altrui, allora torna a valere la difesa dei “campioni nazionali” e tutto si blocca. È così che funziona dunque il mercato in Europa? La logica è sì quella del più forte che si pappa il più debole, ma non in termini di mercato, per cui in questo caso Fincantieri si era mangiata la più debole e decotta Stx, ma secondo il peso politico dei diversi stati nazionali. E non è certo il primo scontro con Parigi, basti pensare a Tim, Mediaset, Mediobanca e Generali, al dossier libico e a quello migranti.

Purtroppo, i nostri “competenti”, molto spesso neofiti del libero mercato, sono bravissimi a impartire (a casa nostra) la lezioncina che hanno da poco imparato a memoria. Peccato manchi loro l’approccio pragmatico ed empirico del liberalismo, per cui, almeno coloro che sono in buona fede, non riescono a passare dalla teoria alla pratica e ad accorgersi che il mercato europeo è tutt’altro che perfetto, che l’Ue non è un giardino di infanzia, che in rarissimi casi si può scorgere un interesse davvero europeo.

Tutti i governi perseguono ancora tenacemente l’interesse nazionale, mentre da noi solo a parlarne si passa per miopi anti-europeisti (nella migliore delle ipotesi). In poche parole, gli altri sono più sovranisti di noi e lo sono da prima che cominciassimo a maneggiare questo termine. Più di tutti, forse, quello francese è particolarmente abile nel manipolare e piegare le istituzioni e le regole europee, e persino la retorica europeista, a propri fini – come vediamo anche con l’accelerazione sull’esercito comune europeo, a guida franco-tedesca, ovviamente.  Dove sono finiti i “liberali per Macron”? Sentite forse qualcuno dare del protezionista e sovranista al presidente francese?  (  http://www.atlanticoquotidiano.it  )

 

 di Federic Punzi
  (14/01/2019)

 

 

 

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