Il vizio. Salva banche, ma i banchieri no

Salvare le banche non i banchieri. Salvare i banchieri e gli amministratori che le hanno fatte fallire no. Ricordiamo poi che nulla è gratis, quindi più soldi si usano per salvare chi ha sbagliato meno ne possono andare al sistema produttivo e ai consumi.

di Davide Giacalone

 

Salva-BancheSalvare le banche strutturalmente fallite ha un senso ed è un bene. Salvare i banchieri e gli amministratori che le hanno fatte fallire no. Con un decreto legge, ieri, il Consiglio dei ministri ha adottato un sistema ponte, per salvare quattro banche: Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio e Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti. Per queste si creano contenitori nuovi, che potranno usare consistenti linee di credito, fornite da altre banche, in modo da riportare i conti in equilibrio, riprendere il cammino e restituire i soldi. Se fosse così semplice avrebbero potuto farlo i commissari, già da tempo nominati dalla Banca d’Italia. Non ci sono riusciti perché i conti sono assai scassati.
Il decreto, quindi, prova a mettere in sincrono il prestiti di oggi, il tentativo di risanamento e l’avvio del Fondo di risoluzione nazionale, che sarà il veicolo dell’intervento di salvataggio consentito e che non è partito per ritardi legislativi (da qui il bisogno di correre a definire i contorni giuridici della raccolta). Quindi, a ben vedere, i crediti che partono subito, in modo da evitare il botto immediato, hanno una garanzia successiva, sempre fornita da soldi del sistema bancario. Nulla è gratis, quindi più soldi si usano per salvare chi ha sbagliato meno ne possono andare al sistema produttivo e ai consumi. Il fatto che quei soldi non vengano dalle casse pubbliche è una buona cosa, ma non significa che non peseranno sul resto della collettività.
Un provvedimento preso in precipitosa corsa contro il tempo, da cui derivano quattro importanti lezioni, riguardanti le banche, i risparmiatori, le imprese, e, in definitiva, l’intero sistema-Italia.

1. La vera novità non sono le norme del bail-in, che dal primo gennaio prossimo presiederanno ai fallimenti bancari. Nella loro sostanza (partecipazione al fallimento degli azionisti, poi degli obbligazionisti non garantiti, quindi dei correntisti con depositi superiori a 100mila euro, per la parte eccedente, infine gli Stati e un fondo europeo) non sono poi così diverse dalle regole che avevamo già (i depositi sopra i 100mila non sono garantiti). La vera novità consiste nel fatto che dal primo gennaio non solo le banche potranno fallire, ma saranno obbligate a farlo, ove ne ricorrano le condizioni. Noi, invece, le banche le salvammo sempre (mettendo all’opera banche la cui proprietà era pubblica, prevalenti, allora, nel fondo interbancario).

2. L’Italia s’è mossa in controtendenza, rispetto agli altri Paesi europei: mentre noi portavamo la mano pubblica fuori dalle banche gli altri la usavano copiosamente per salvarle. E’ paradossale che si finisca sotto procedura per aiuti di Stato (nel caso della banca Tercas, poi minacciata per le altre), essendo i soli a non averli usati. Ma questo non deriva (solo) da una severità troppo formale, da parte della Commissione europea, bensì prima di tutto dal nostro non avere saputo anticipare le norme che sarebbero arrivate e che conoscevamo di già. Gli altri hanno dato aiuti di Stato prima che scattasse la proibizione, ottenendo ben 450 deroghe. Anche nel caso di Tercas gli aiuti non sono affatto dati dallo Stato, visto che si sono usati soldi della altre banche. Così si voleva fare anche per le quattro ora salvate. Ma nel consiglio d’amministrazione del fondo di tutela dei depositi siede un rappresentate della Banca d’Italia. Certo: formalismo eccessivo della Commissione. Ma, altrettanto certo: si poteva immaginarlo e rimediare prima.

3. Quando una banca fallisce gli azionisti e chi la guida devono rimetterci. Hanno commesso degli errori (nel migliore dei casi) ed è giusto che paghino. E’ previsto dal bail-in, ma lo era anche nella nostra legge nazionale. Solo che lo abbiamo molte volte evitato. Ed è un male. Che ha favorito una perversione: la vendita delle azioni ai clienti risparmiatori, lasciando intendere loro che non c’erano rischi. Un raggiro. Non c’è ragione di trascinare oltre tale scempio. Semmai occupandosi dei raggirati, ove piccoli.

4. Salvare le banche, nella condizione e nel tempo in cui ci troviamo, non tutela solo i clienti e i creditori dei salvati, ma l’intero sistema bancario. Lasciate che la miccia della sfiducia prenda fuoco e, in breve, salterà la santabarbara. Proprio per questo, paradossalmente, l’intervento che ci è stato impedito, coinvolgendo tutte le banche, era più corretto di quello messo in atto, con soldi solo di alcune, sebbene destinati a una linea di credito che dovrà poi essere recuperata. Questo apre la lunga partita del recupero, talché, vorrei sbagliarmi, il decreto domenicale non è detto che sia l’ultimo.

Rimediare studiando forsennatamente l’ultima settimana può anche servire a passare un esame, ma non aiuta punto a farsi una cultura. L’ammirazione italica per i recuperi dell’ultimo minuto sembra virtuosa, ma, in realtà, cela il vizio d’essere costantemente in ritardo.  (  www.davidegiacalone.it  )

 

  di Davide Giacalone
     (24/11/2015)

 

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