Tendenza dell’economia europea

Tendenza dell’economia europea 2021-22 è segnata da un output gap ancora relativamente ampio, tassi di disoccupazione elevati e dinamiche salariali vicine a zero. Le condizioni del mercato del lavoro cambiano radicalmente in tutti i paesi.
di Fedele De Novellis 

Tendenza dell’economia europeaTendenza dell’economia europea 2021 -22. Uno dei temi di maggiore rilievo è rappresentato dalle conseguenze della crisi sulle condizioni del mercato del lavoro, e quindi sulle dinamiche salariali.

Nelle economie avanzate si viene da una lunga fase di bassa crescita delle retribuzioni. Solamente dal 2018 erano emersi primi segnali di accelerazione delle dinamiche salariali in alcuni paesi, soprattutto in Germania e negli Usa. Erano queste le economie dove la disoccupazione aveva toccato i livelli più bassi, e quindi un rafforzamento della dinamica salariale costituiva un esito quasi fisiologico delle buone condizioni del mercato del lavoro. Si era anche sviluppato un dibattito sulle ragioni per cui l’accelerazione salariale non si fosse tradotta in aumenti dell’inflazione. Era stata anche avanzata l’ipotesi di cambiamenti nella relazione salari-prezzi, legata alla perdita di potere di mercato delle imprese, conseguenza della competizione su scala globale fra produttori e dell’accelerazione della diffusione delle vendite on-line.

Evidentemente, con l’arrivo della recessione, le condizioni del mercato del lavoro cambiano radicalmente in tutti i paesi, e questo porterà probabilmente a un abbassamento della crescita delle retribuzioni. Va comunque considerato che d’ora in avanti e per diversi mesi le statistiche relative al quadro del mercato del lavoro non saranno di lettura immediata.

Innanzitutto, le misure dell’andamento della domanda di lavoro sono molto incerte: a seconda del contesto istituzionale, gli effetti delle chiusure possono portare o meno a classificare il minore impiego di lavoro attraverso una riduzione del numero di lavoratori occupati. Ad esempio, nel caso Usa si registra un crollo degli occupati anche perché l’inoccupazione è condizione per accedere ai sussidi di disoccupazione. In diversi paesi europei questo fenomeno è invece meno marcato perché prevalgono schemi simili alla nostra Cassa integrazione guadagni, che non portano alla rottura del rapporto di lavoro, per cui il lavoratore che percepisce l’integrazione del reddito resta classificato fra gli occupati. Inoltre, come abbiamo visto soprattutto per i dati italiani, il confine fra la classificazione di un lavoratore fra i disoccupati piuttosto che fra gli inattivi è abbastanza labile; difatti, soprattutto per i lavoratori al primo ingresso nel mercato del lavoro il lockdown ha reso quasi impossibili molte azioni di ricerca attiva di un impiego (ad esempio attraverso colloqui di lavoro, partecipazione a selezioni ecc.); ne è derivato che molti di questi lavoratori sono stati classificati fra gli inattivi piuttosto che fra i disoccupati, e il tasso di disoccupazione in Italia si è addirittura ridotto.

Tendenza dell’economia europea. Anche dal punto di vista delle statistiche sui salari nei prossimi mesi non mancheranno le difficoltà di lettura. I dati di contabilità relativi all’andamento dei redditi per occupato registreranno un crollo, dato che le ore lavorate pro-capite si sono ridotte negli ultimi mesi; d’altra parte, il costo del lavoro per ora lavorata potrebbe invece registrare un rialzo, considerando che nelle scorse settimane sono stati espulsi dal mercato soprattutto i lavoratori più deboli, con contratti più flessibili e salari orari inferiori. Infine, l’andamento del costo del lavoro per unità di prodotto registrerà con buona probabilità un rialzo significativo quest’anno risentendo della caduta della produttività legata in parte a fattori ciclici e in parte agli effetti delle misure di separazione.

Nel complesso, l’insieme di fattori anomali che condizionano i dati del periodo del lockdown e dei mesi immediatamente successivi renderà difficile cogliere per qualche tempo le tendenze di fondo del mercato del lavoro. Ed è anche per questo che i fattori alla base delle tendenze dei prezzi non si presteranno a una lettura univoca. È comunque scontato che le condizioni del mercato del lavoro sono molto peggiorate, e questo non potrà che condurci verso una fase di rallentamento dei salari.

La frenata dei salari è anche legata agli effetti della crisi sulle aspettative d’inflazione, che condizioneranno ulteriormente il contesto in cui avverranno i rinnovi dei contratti nazionali. Una drastica frenata delle retribuzioni dovrebbe caratterizzare nei prossimi mesi l’economia tedesca. In particolare, dopo una fase di relativa vivacità dei salari, già a fine 2019 alcuni rinnovi, come quelli dei chimici, erano stati condizionati dall’allarme innescato dai segnali di frenata dell’industria, legati al rallentamento del commercio mondiale e alle difficoltà del settore dell’auto. Le trattative erano state quindi impostate all’insegna della moderazione salariale, seguendo la tradizionale risposta dell’industria tedesca ai momenti di difficoltà. Con l’arrivo della crisi del Covid-19 si sta andando verso accordi protettivi dei livelli occupazionali, e non si può escludere anche una fase in cui incrementi salariali non vengono negoziati del tutto.

Anche in Italia il quadro sembra puntare nella direzione di dinamiche salariali praticamente nulle. Al proposito, va ricordato che ben l’80 per cento dei contratti è in attesa di rinnovo, e quindi risentirà del quadro economico post-crisi.

Su questo punto, l’Istat ha recentemente proposto le nuove previsioni relative all’andamento dell’inflazione “al netto degli effetti dei prezzi dei prodotti energetici importati”, la variabile che funge da benchmark per orientare la contrattazione. Le previsioni vanno dallo 0.4 per cento di quest’anno risalendo gradualmente verso l’1 per cento nel 2022-23. Di per sé questo porterebbe a orientare la contrattazione verso dinamiche salariali modeste.

A questo si deve poi aggiungere che l’inflazione a consuntivo nei tre anni scorsi è risultata sempre inferiore alle previsioni effettuate degli anni precedenti; tale scarto a rigore andrebbe scorporato dai già modesti incrementi dei prossimi anni, il che ci conduce verso un quadro in cui anche in Italia le retribuzioni contrattuali presenteranno con buona probabilità variazioni vicine a zero.

In conclusione, al di là dei diversi fattori anomali che si sovrappongono in questi mesi, la tendenza per il 2021-22 è segnata in Europa da un output gap ancora relativamente ampio, tassi di disoccupazione elevati e dinamiche salariali vicine a zero. Quanto basta per dire che di inflazione almeno un po’ non ne vedremo.
Analisi dell’economista Fedele De Novellis, responsabile di Congiuntura Ref 
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 di Federico De Novellis
    (22/06/2020)

 

 

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