Frittura, è un tipo di cottura connaturata nella nostra tradizione e spesso, proprio per questo, viene effettuata con superficialità, invece tipologia e qualità di olio, oltre al punto di fumo, sono elementi essenziali da conoscere per realizzare prodotti sani e di qualità.
Redazione
La frittura è un metodo di cottura molto antico, diffuso in tutto il mondo: ci sono testimonianze di frittura di cibi dolci e salati già nel 2500 a. C. nella cucina egiziana e successivamente nell’antica Roma, dove si utilizzava per la frittura prevalentemente olio di oliva e strutto per friggere impasti che potremmo considerare gli antenati delle nostre chiacchere. Nel medioevo invece, soprattutto nel nord Italia, si diffuse l’impiego del burro.
È tradizione popolare in molte zone d’italia quella di produrre pane, frittelle, pizza o “gnocco” fritto: le preparazioni dell’impasto sono molto diverse, ma fanno tutte riferimento a ciò che avviene durante la frittura. La frittura induce delle mutazioni negli alimenti sia di carattere strutturale sia biochimico: durante la cottura in forno o in olio bollente osserviamo le stesse trasformazioni chimiche, ma i cambiamenti strutturali dei due diversi tipi di cottura sono profondamente diversi.
Infatti, anche se quando friggiamo un impasto o lo cuociamo in forno osserviamo in entrambi i casi l’imbrunimento della superficie dovuto alla reazione di Maillard e alla caramellizzazione degli zuccheri, la struttura della crosta è completamente diversa. Un alimento viene fritto quando è immerso in un liquido (in genere, olio) a una temperatura superiore alla temperatura di evaporazione dell’acqua. Il calore viene trasferito all’alimento per convezione e conduzione che provocano un trasferimento di massa in direzioni opposte: la perdita di acqua da parte dell’alimento e l’assorbimento dell’olio di frittura.
Come nella cottura in forno si osserva l’espansione dell’impasto sotto la pressione di diversi gas: la CO2 prodotta dai lieviti parzialmente disciolta in acqua a 50°C torna allo stato gassoso, a 80°C tocca all’etanolo e, per ultima all’acqua, che evaporando crea la porosità della struttura del prodotto. Nei prodotti fritti si osserva la creazione di una struttura porosa, capillare responsabile dell’assorbimento di olio: una parte cospicua di olio viene assorbita durante la fase di raffreddamento mentre se i pori sono eccessivamente grandi, si osserva un assorbimento di materia grassa quando il prodotto è ancora immerso nell’olio di cottura.
Nel caso di un impasto quindi, il grado di lievitazione della pasta è molto importante per evitare l’eccessivo assorbimento di olio: se questa è troppo lievitata, si forma una porosità eccessiva con conseguente penetrazione di olio nella struttura della pasta. La porosità più fine che si riesce ad ottenere con farine forti, oltre a ridurre l’assorbimento di olio, crea una struttura molto soffice, mentre prodotti croccanti si otterranno con farine deboli. Anche la qualità dell’olio impiegato nella frittura è in grado di influenzare la porosità superficiale della struttura dell’impasto fritto: friggere con un olio ricco di acidi grassi saturi rende il prodotto croccante, mentre un olio con acidi grassi polinsaturi è ideale per prodotti soffici.
La composizione dell’olio
Un olio è composto da diversi acidi grassi che si distinguono per la presenza o meno di doppi legami: quando la catena carboniosa è formata unicamente da legami C-C, il grasso si dice saturo e presenta una maggiore esistenza al deterioramento. Gli acidi grassi poliinsaturi invece presentano più di un doppio legame C-C nella catena e sono estremamente interessanti dal punto di vista nutrizionale, ma sono poco resistenti al deterioramento.
È a tutti noto che durante la cottura la materia grassa si deteriora generando in molti casi sostanze tossiche soprattutto quando viene superato il punto di fumo. Per questo motivo, l’olio non deve mai essere utilizzato per fritture prolungate e non deve mai essere riutilizzato per troppi cicli di frittura o rabboccato.
Il punto di fumo
Il punto di fumo è la temperatura a cui un grasso alimentare comincia a decomporti formano acroleina una sostanza tossica e cancerogena. È una caratteristica del grasso, che varia con la miscela di acidi grassi contenuti, della percentuale in acqua, e di numerosi altri fattori: i dati riportati in letteratura sono quindi da considerarsi dei valori medi rispetto a quanto osservato per ogni tipologia di grasso.
Occorre ricordare che il Ministero della salute, nella circolare n. 1 del’11 gennaio 1991 ha espresso un parere sugli oli e grassi più adatti alla frittura indicando negli acidi grassi monoinsaturi quelli migliori per la frittura: sono più resistenti degli acidi grassi polinsaturi al deterioramento e presentano un miglior profilo nutrizionale rispetto agli acidi grassi saturi. I grassi che hanno queste caratteristiche sono l’olio di arachide e l’olio extra vergine di oliva.
Un buon fritto parte quindi dalla scelta dell’olio per garantire la salubrità dell’alimento, in termini di struttura e consistenza si raccomanda il raggiungimento dell’olio della temperatura di 180/190°C e un grado di lievitazione dell’impasto non eccessivo. ( https://www.italiangourmet.it )
Redazione
(12/06/2018
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