Merkel, senza visione europea una continua discesa

L’era Merkel in Germania si conclude con un fiasco quasi totale per l’intera Europa. L’eredità della cancelliera non è affatto positiva, malgrado i sedici anni alla guida della prima economia europea e, in fondo, della stessa UE
di Giuseppe Timpone 

Merkel, senza visione europea una continua discesaChissà quanto in fretta ci abitueremo a non vedere più gli abiti sempre uguali e semmai mutevoli solo nel colore della cancelliera Angela Merkel. Il suo mandato si conclude verso la fine di quest’anno, dopo che in Germania si saranno tenute le elezioni federali a settembre. Viste le lunghe trattative a cui i partiti a Berlino ci hanno abituati in più occasioni, specialmente tra il 2017 e il 2018, Mutti potrebbe ritrovarsi persino a rivolgere gli auguri di buon anno nuovo ai tedeschi per ancora un’ultima volta. Ad ogni modo, dopo sedici anni l’era Merkel volge al termine. E il bilancio non è entusiasmante.

Quando arrivò alla cancelleria nella primavera del 2005 si ritrovò a guidare una Germania definita “malato d’Europa” per la sua scarsa crescita economica da ormai diversi anni. Tuttavia, alcune poche riforme varate dal predecessore socialdemocratico Gerhard Schroeder stavano iniziando a dare i primi frutti, raccolti proprio dalla Merkel poco dopo il suo arrivo al governo. Tra queste, la famosa “Hartz IV” con cui il sistema dei sussidi veniva rivisto in modo da favorire più l’occupazione e meno l’assistenza. Paradosso vuole che proprio quella riforma, così impopolare a sinistra, costò la cancelleria a Schroeder, mentre divenne un successo per l’economia tedesca e la stessa immagine della prima donna alla guida di un governo federale.

Di certo, però, Frau Merkel debuttò in un’Europa molto più coesa di quella odierna. Nessuno avrebbe immaginato che anni dopo l’euro sarebbe stato minacciato sia da una potente crisi dei debiti sovrani che dalle tensioni politiche, né che il Regno Unito uscisse dall’Unione Europea. Eppure, tutto questo è accaduto nell’era Merkel, anzi principalmente a causa sua.

Sarebbe ingeneroso e ingenuo addebitare alla cancelliera ogni responsabilità di quanto accaduto nell’ultimo decennio, ma non siamo lontani dalla realtà quando affermiamo che la donna sia stata la fautrice di un’Europa divisa e del suo ritorno ai nazionalismi.

Il caos europeo sotto lo sguardo inerte della Merkel

La crisi dei debiti sovrani esplose nel 2010 in Grecia e in fretta dilagò in Irlanda, Portogallo e persino in Spagna e Italia. Essa non fu la conseguenza soltanto del disordine fiscale degli stati colpiti, quanto delle divisioni ostentate da Berlino in quell’occasione. La Merkel si rifiutò di salvare Atene e subordinò l’erogazione dei prestiti all’accettazione di un memorandum d’intesa sulle riforme. Nulla di errato sul piano formale, ma sta di fatto che gli investitori capirono subito che l’euro non fosse la moneta di un’unica realtà economica, bensì di tanti stati tra di loro in competizione e che si parlavano quasi in cagnesco. Ne seguì una forte ondata di sfiducia ai danni dei titoli di stato più deboli, tra cui i BTp. Il copione recitato da Bruxelles su indicazione di Berlino fu lo stesso: dalla crisi si esce con le riforme.

Senonché anni di crisi economica devastavano il Sud Europa e la stessa Francia, accrescendo l’euro-scetticismo. Quasi ovunque, i movimenti anti-euro riscuotevano importanti vittorie elettorali, tra cui nella stessa Germania, dove attualmente al Bundestag detengono il terzo numero di seggi più alti tra i partiti. E in questo clima di sfascio generale Londra pensò bene di celebrare un referendum per dare la parola ai britannici. E fu Brexit! Uno choc per le istituzioni comunitarie, la fine della prospettiva di una UE sempre più grande e capace tendenzialmente di riunire sotto di sé tutti gli stati del Vecchio Continente.

In politica interna, la Merkel ha vissuto quasi esclusivamente di rendita. La Germania è cresciuta a ritmi non esaltanti, ma più che sufficienti a staccare i principali competitor europei.

Nei suoi sedici anni alla cancelleria, però, non esiste tedesco che si ricordi di una qualche riforma significativa. Anzi, la carenza degli investimenti pubblici ha attirato le attenzioni di organismi internazionali come il Fondo Monetario, i quali da anni suggeriscono a Berlino di spendere di più, specie nelle infrastrutture, dato lo stato non certo da prima economia europea in cui versano la rete stradale e quella digitale. L’obiettivo dello “Schwarze Null”, ossia del pareggio di bilancio, è stato perseguito anche a discapito delle prospettive di crescita future sull’assunzione che gli altri stati comunitari sarebbero, in ogni caso, rimasti ancora più indietro.

La Germania si ammala di Covid

E come un fulmine a ciel sereno arriva la pandemia. Siamo più o meno a un anno fa e la Germania per mesi si mostra un esempio di eccellenza per il mondo. I consensi per la Merkel culminano ai massimi da anni e tutto fila liscio fino al tardo autunno, quando la seconda ondata dei contagi travolge anche il sistema sanitario tedesco. Iniziano i “lockdown”, procrastinati a tutta la prima metà di aprile e che saranno acuiti nei cinque giorni attorno la Pasqua. La cancelliera reagisce alla crisi sanitaria con chiusure che frustrano e indispettiscono i tedeschi, in attesa che i vaccini riportino gradualmente alla normalità. E qui arriva l’ennesimo flop della sua lunga era. La sua pupilla, la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, si rivela non all’altezza del compito affidatole. Sigla contratti poco chiari e in ritardo con le case farmaceutiche, alle quali paga le dosi relativamente a buon mercato, dati i prezzi sborsati da altri stati come Israele, USA e Regno Unito.

I risultati di questa pessima gestione sono immediati: i vaccini ci sono, ma non arrivano. La UE è e resta maledettamente molto indietro a tutti i suoi principali competitor nel tasso di somministrazione.

In soldoni, significa che riapriremo le nostre attività dopo gli altri e che, quindi, perderemo più punti di PIL del necessario. In questo quadro di suo drammatico, la Germania esibisce una performance ancora più mediocre, con vaccinazioni a rilento e disorganizzazione diffusa nei Laender. Il modello tedesco diviene un riferimento da non imitare, immagine di un modo di gestire la cosa pubblica caratterizzato da eccesso di burocrazia e assenza di visione, che sono da sempre le caratteristiche della Merkel.

Il suo partito esce distrutto da questa lunga era. Alleato per dodici dei sedici anni con i rivali socialdemocratici, ha perso qualsivoglia cultura di tipo conservatrice e, soprattutto, ogni credibilità circa la capacità di indirizzare l’azione di governo nel medio-lungo periodo. La politica dei piccoli passi della cancelliera è stata frustrante e non ha portato sostanzialmente a nessun risultato concreto, se non a quello di finire a inseguire la realtà o l’agenda politica altrui. Come nel caso del cambio di policy alla BCE e dell’arrivo di Emmanuel Macron alla presidenza francese.

La Merkel si è mostrata furbissima e abilissima nel difendere gli interessi nazionali tedeschi nell’immediato, ma del tutto incoerente e incapace di inquadrarli all’interno di un ordine europeo efficace. Le istituzioni comunitarie collassano anche a causa di questa mancata visione, di questo modo di ragionare da bottegaio senza lungimiranza, che ancora oggi tengono i mercati sulle spine. Perché l’euro e la stessa UE così come sono non si reggono in piedi. E l’era Merkel è stata una lunga fase di “congelamento” dei problemi. (https://www.investireoggi.it  )

 

  di Giuseppe Timpone
     (25/03/2021)

 

 

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