Marina Minet scritti d’inverno

Marina Minet scritti d’inverno. La poetica della poetessa Marina Minet, si propone nella sua armoniosa complessità come dialogo di legame e di affetto con una terra che indaga attraverso l’osservazione acuta e silenziosa della gente
di Anita Nuzzi 

Marina Minet, scritti d’invernoMarina Minet, scritti d’inverno. Il libro ha vinto la IX Edizione del Premio Letterario Nazionale per la poesia inedita ed è stato pubblicato a cura dell’Associazione Culturale “Le Muse Project”

La poetica della poetessa Marina Minet si propone nella sua armoniosa complessità, all’interno dell’ultima raccolta, “Scritti d’Inverno”, che il lettore si appresta a leggere. Addentrarsi tra le parole di questi versi è in effetti paragonabile all’attraversamento di un lungo inverno, a piedi ed in mezzo alla neve.  In generale leggere questa poetessa, seguendone i percorsi accidentati ed insoliti della sua penna, rappresenta una esperienza poetica particolare che rende indispensabili una cura legata alla focalizzazione delle immagini di matrice onirica che si offrono all’attenzione del lettore e all’accettazione, abbandonando così l’abitudine alle classiche letture poetiche, dei diversi accostamenti linguistici e semantici utilizzati nei versi, tentando alla fine di giungere all’essenziale, ossia al nucleo poetico della Minet.

In questa raccolta si innestano tra loro tre sezioni apparentemente disancorate ma in realtà legate insieme dal tema sotterraneo dell’esilio, termine che compare soltanto una volta, nella poesia “Friabili Parole”, ma che concettualmente solca la spiritualità dell’intera raccolta.

Nella sezione di apertura, Dialogo alla terra, la poetessa intesse un fitto legame di affetto con una terra che indaga attraverso l’osservazione acuta e silenziosa della gente e dei loro usi ( “…il cimitero a Novembre le raduna silenziose coi rosari consumati attorno ai polsi/ le custodirà…”), dei luoghi (“ … in questi vicoli si aggirano le rughe della gente…”) ed attraverso il proprio sentire ( “ … ferendomi al ricordo di mio padre / mentre i calli si spaccano stagnanti / piantandomi nel cuore un osso nuovo…”). L’orgoglio d’ appartenenza della poetessa emerge nella poesia “Lucania” ove ella scrive: “ …Abito la terra dei viandanti / la meta dei rimpatri / dove le madri accettano gli affanni / temendo la tristezza dei gerani …”, ritrovando in queste nuove visioni esistenziali “somiglianze per amare”. E ancora, nella poesia  “ Per finire lo scenario” ella scrive: “ … Pioverà domani per sfinire lo scenario / in questa terra priva di coltelli” continuando poi nella poesia “L’argilla in fondo al fiume”: “… ed io non potrei mai voltarmi, nascondere le mani / o chiudere la porta alle ragioni / di questo mio restare.” Dalla lettura di questi testi poetici emerge il senso effimero dell’esistenza, placato dalla ricerca fiduciosa di nutrimento vitale che la poetessa porta avanti da coraggioso soldato, termine a lei caro. Presente è anche il frequente richiamo al perdono, tema di cui si apprezza il senso nella poliedricità del suo significato. Non passa inosservato il costante riferimento alle radici, sottintendendo una ricerca di appartenenza che la poetessa conduce con tanta delicatezza nei suoi versi. Nella poesia “ Potessi appartenerti ” ella scrive: “ … Tu sei la terra che aspetta le radici / la gola che divora l’agonia e il volto dei calanchi incarna ogni perdono…”

La seconda sezione della raccolta, Il vero o il nulla, configura un vasto scenario sulla sensibilità e sulle dinamiche intimistiche della Minet. Sono tanti i temi che la poetessa affronta e che, inevitabilmente, toccano il lettore attento, portandolo ad una personale riflessione. Tra i versi del testo poetico “L’immobilità del mare” ella scrive: “ /…/ Cercate l’immobilità del mare/ stagioni come istanti inavvertiti / senza fiori né foglie in avaria/ e lì scoprirete il mio cuore/ spogliato, cordiale, dimesso/ di fronte alle intemperie dell’inverno…”. Questo testo, uno dei cardini dell’intera raccolta, definisce l’ossatura del sé, la coscienza della poetessa. Il mare immobile che la poetessa fa comparire in primo piano, proprio in successione alla sezione Dialogo alla terra, si intrufola agli occhi del lettore come la Madre Terra indiscussa, ove scoprire “ il mio cuore cordiale, dimesso”.

In alcuni casi poetici le parole della Minet non sono facilmente decifrabili ad una immediata lettura perché frutto di un intimo flusso di coscienza. Sta al lettore attento riuscire ad interiorizzare e ad intendere frasi, accostamenti, passaggi, a seconda della sua sensibilità emotiva e di interpretazione.

La Minet non ha timore di utilizzare le parole, paladine della sua anima. “Non scordatemi in esilio” scrive in alcuni versi, facendo emergere la fragilità e la delicata bellezza del suo sé: “Mi inalbero così, come una piuma in gabbia /come la sabbia in frana / come i lampioni che spazzano l’oscuro / e al chiaro si conducono domani.” Diversi sono i testi in cui la poetessa discute sentimentalmente del tempo inesorabile, fatto di istanti, giorni, anni che divengono il sarcofago dell’esistenza. L’umana fragilità, quindi, si riassume in uno spazio temporale a volte esiguo per poter esprimere la vasta bellezza che il creato può offrire.

Nella poesia “I giorni” ella scrive: “Sassi e amore e stragi e ire e gioie e troppi giorni / che non bastano / che di riempiono di noi / di noi soldati e santi /…/ ovunque in questi giorni / noi siamo il vero e il nulla.”  Nella poesia “Gli anni “ ella scrive: “Si faranno gli anni / sfioriranno posandosi lontano / con la fierezza degli uccelli che migrano”. La discussione sentimentale che la Minet porta avanti sul tempo è molto serrata: la poetessa sa entrare in ciò che vive e pertanto avverte lo stacco di quello che va via, assorbendo il naturale strappo tra l’esistenza ed il tempo che ingloba tutto nel ricordo o nel nulla. Nel bellissimo testo “Corpi” la poetessa esprime il nulla della corporeità rispetto alla incolumità delle cose e alla vulnerabilità delle ossa, termine quest’ultimo, utilizzato spesso nella raccolta e manifestatosi sempre in una insolita veste poetica: “Sotto questa terra scorderemo i corpi / l’attenzione fragile dei ciechi / la distrazione insonne, le feste, le frasi e gli spaventi /… / ché i corpi sono niente, al gelo come al sole / risacca fra le ossa, i corpi sono niente /… /“  e ancora “ /… / Deserti, colline, nuraghi, coltelli / invidia ai sassi, ai grappoli trebbiati / ai ceppi taciturni nei camini / e ai marmi senza carni e senza vermi / così prudentemente sordi al mietere del tempo /”. Eppure, nonostante tutto questo, la poetessa cerca di rendere vita ad ogni istante: “ ….come restare…./… / come trovare i cielo … / …. / come svegliare il passo … /…./“ E’ proprio nel “nonostante tutto” che si apre un nuovo scenario all’interno della poetica della Minet: la fede. In molti testi poetici di questa raccolta esistono tracce di una forte appartenenza al sentire religioso, un sentire a volte conflittuale ma sempre presente.

Nella poesia “Gli astri dell’ignoto” ella scrive: “Prego così, ostile ai rami spogli / disegno la tua voce accanto agli usignoli / accanto ai semi colmi di germogli/ fioriti ad abitarti/”. La scelta esistenziale, il risultato del “duro delle corse battute ad occhi chiusi” dell’ignoto, dà la possibilità alla poetessa di soffiare tra le mani l’avvenire “in una candida vertigine verticale”, al risveglio della Fede.

L’approdo alla terza sezione, Sui treni di Auschwitz, non è indolore ma avere attraversato la spiritualità della poetessa aiuta a interiorizzarne il significato. Nella poesia “ Le ossa di Auschwitz” ella scrive: “ /… / Le ossa a fiumi scivolano stanche / e ammantano le croci fra i palmi immortalati / memoria ancora un giorno /  e ancora nella poesia “Volti”: “Le crepe senza fede tracciano la storia / come le parole sfiorita nella gola / in questo esempio di umanità mai sazia di sepolcri”: sono stralci di testi splendidi e difficili che risulta quasi ingiusto cercare di analizzare, violandone quindi la concettualità profonda; testi che mettono in luce le virtù poetiche di una donna in grado di scrivere del bene e del male.

Sono persone come la Minet a fare la storia, quella vera e di tutti i giorni: una storia realizzata a piccoli passi, che resterà comunque un frammento immortale d’esistenza. “ Quanto poca grazia concedono cent’anni / e i giorni che sudiamo / ammucchiano gli eventi e ingannano così / lasciandoci pensare che poi ritorneranno / per regalarci i passi / e i denti uguali ai santi.”  

Marina Minet, Scritti d’inverno
Edizioni Print Me, 2017
Formato brossura, p. 64
Isbn 9788896496596

 

    di Anita Nuzzi
    (05/01/2023)

 

 

 

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