Punto esclamativo e quello interrogativo, due virgole sovrapposte, lineetta. Punti, virgole e &… Errori (e scherzi) d’autore con la punteggiatura. La lingua stimola la mente.
di Giacomo Gambassi
Dalla lineetta evidenziatrice di Foscolo ai sei puntini di sospensione di Manzoni. Oggi è boom sul web di punti esclamativi e interrogativi. L’analisi del linguista Massimo Arcangeli.
«Punto, punto e virgola, un punto e un punto e virgola… Ma sì, fai vedere che abbondiamo. Abbondandis in abbondandum». Non si può che sorridere ogni volta che ci imbattiamo nella celebre sequenza della lettera tratta dal film Totò, Peppino e la… malafemmina in cui il principe della risata, per non apparire «provinciale», sparge a piene mani i segni che le grammatiche vogliono siano usati in ben altro modo. Però ha ragione Antonio De Curtis: la punteggiatura – come tutta la lingua – è anche gioco, invenzione, creatività. Non solo regole che comunque ci sono, vanno rispettate e soprattutto conosciute prima di poterle trasgredire.
Prendiamo Alessandro Manzoni che nei Promessi Sposi arriva a impiegare fino a sei puntini di sospensione (benché i manuali ne contemplino tre), mentre Carlo Emilio Gadda ne utilizza regolarmente quattro. O Ugo Foscolo che nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis inventa la lineetta evidenziatrice e quindi sovradimensionata rispetto all’originale. Ancora. Carlo Dossi ricorre a due virgole sovrapposte per trovare una via di mezzo fra la virgola e il punto e virgola, e come segno “emotivo” lancia la lineetta con il punto sottostante. E che cosa dire di Giuseppe Pontiggia che ama le parentesi vuote, cioè prive di contenuti, che si aprono e si chiudono in un rigo a loro dedicato? Oppure dei cinque nuovi punti introdotti da Hervé Bazin: d’amore (a forma di cuore), di persuasione e d’autorità (simili a una croce), d’acclamazione (che somiglia a un doppio punto esclamativo) e di dubbio (che pare una zeta mal riuscita)? Potere della fantasia che irrompe nella punteggiatura fino quasi a rasentare l’“errore d’autore”. Che però non è da segnare con la matita rossa.
«La lingua stimola la mente. E ciò vale anche per i segni di interpunzione che possono cambiare, essere reinventati o rivisti, assolvere a funzioni nuove, fino ad arrivare a creare “simboli visivi” come le emoticon e le emoji che nascono proprio da punti, virgole, parentesi assemblate assieme», spiega Massimo Arcangeli, docente di Linguistica italiana all’Università di Cagliari, che nel libro La solitudine del punto esclamativo (Il Saggiatore; pagine 336; euro 19) racconta passato, presente e futuro (prossimo) di tutti quei segni indispensabili nella scrittura. Guai però a ritenere che le fondamenta della punteggiatura possano essere scardinate su due piedi. «Una cosa è la novità frutto di un ragionamento originale e dell’uso consapevole e corretto della lingua, come ci insegnano scrittori e poeti. Tutt’altro è l’errore che qualcuno può tentare di spacciare per un tocco di freschezza e che invece va sanzionato senza se e senza ma», tiene a precisare Arcangeli.
Certo, i simboli presenti nei testi non vanno ritenuti di per sé immutabili. Pensiamo al punto. C’erano il punto fermo seguito dalla minuscola, il punto trafermo seguito dalla maiuscola, il punto fermissimo seguito dalla maiuscola divisa dal punto da una doppia spaziatura e il punto trafermissimo seguito dalla maiuscola nel rigo successivo. «Abbiamo perduto questa eccessiva raffinatezza e adesso ne utilizziamo soltanto uno», avverte il linguista. Comunque c’è chi, come Enrico Brizzi in Jack Frusciante è uscito dal gruppo, si è preso la licenza di aprire il capoverso con la minuscola dopo il punto. Un po’ come accade sulla Rete dove qualcosa sta mutando. «Ormai non sappiamo più se completare un sms o un periodo sui social network con un punto perché lo riteniamo superfluo – osserva Arcangeli –. Sicuramente è interessante notare come il punto fermo stia iniziando ad assumere un significato inconsueto: quando lo si mette, richiama un tono secco o magari irritato. Se, quindi, chiudo un messaggio con un punto fermo, può darsi che l’interlocutore mi consideri un po’ contrariato».
Più facile divertirsi (senza rischiare troppo di incorrere in abbagli) con parentesi, puntini, lineette e virgolette. «Sono segni “secondari” che ancora godono di uno status di relativa libertà. Ad esempio, possiamo scegliere fra le virgolette alte (“ e ”), i caporali (« e »), gli apici singoli (’). Oppure possiamo usare il trattino per introdurre un discorso diretto». Tormentato il passato della virgola. «Prima è stata una barra trasversale, poi ha assunto l’aspetto di un apostrofo – racconta lo studioso –. Del resto gli odierni segni di interpunzione sono il risultato di una sedimentazione di secoli che ha una delle radici nel Medioevo quando si impose la lettura silenziosa e poi nella stampa a caratteri mobili che ha portato a una regolarizzazione dell’intero sistema della punteggiatura». Oggi la virgola soffre. «In troppi la impiegano per separare il soggetto dal verbo: lo fanno perché la riducono a una pausa del parlato. Che non ha nulla di logico ma è soltanto nella mente di chi scrive». A rischio il punto e virgola. «Si tratta di un segno fondamentale che non è equiparabile al punto o alla virgola. Ha un ruolo di negoziazione intermedio che, tuttavia, si sta perdendo. E ciò è indice di impoverimento dell’italiano».
Invece ci sono simboli che conoscono un’autentica esplosione. Grazie a Internet e ai cellulari. Uno è il punto esclamativo. Sconosciuto agli antichi greci e romani, usato da Petrarca ma non per dare voce grafica alle manifestazioni di gioia o dolore, c’è stato chi lo avrebbe voluto chiamare punto “affettuoso”, “pathetico” o “ammirativo”. «Nell’angloamericano – nota il linguista – viene anche definito bang (botto, scoppio) o shriek (strillo, urlo). Fatto sta che oggi, in particolare sul web, i punti esclamativi sono spesso raddoppiati o triplicati. Lo stesso accade per i punti interrogativi. Non va dimenticato che era già stato proposto di usare insieme il punto esclamativo e quello interrogativo per rendere l’idea di una domanda che ha un’impronta di stupore. Non solo. Guardando alla lingua spagnola, Dossi usò il “doppio punto esclamativo o interrogativo”, ossia all’inizio e alla fine di una frase. In Francia, poi, a fine Ottocento il poeta Alcanter de Brahm concepì il “point d’ironie”, una specie di punto interrogativo allo specchio per marcare il tono di scherno e scherzo».
Ai segni di interpunzione si devono le “faccine” che con altre centinaia di “icone” costellano ormai messaggini, post o tweet. «Per riprodurre un sorriso – chiarisce Arcangeli – basta scrivere :-). Oppure per esprimere scetticismo ecco la formula :-/. Tutto questo è alla base di emoticon ed emoji che hanno riportato le immagini fra le righe». Il che non è una rivoluzione. Già nei manoscritti medievali comparivano le capocchie di chiodo per presentare una pausa ritmica di media durata; ha secoli di vita anche il cancelletto (#); oppure si può sperimentare lo slash (/), come ha fatto Alessandro Baricco nel romanzo City del 1999, per dare il senso dell’interruzione e della ripresa rapida. «L’insinuarsi di faccine e simili nel testo – sottolinea il docente – ci riporta ai codici miniati, riccamente decorati, e fa comprendere come oggi l’italiano sia sempre più condizionato non solo dall’oralità ma anche dal visivo. Siamo di fronte una scrittura contaminata dove si sostituisce la parola “casa” con l’immagine di un’abitazione. Una scrittura che sta recuperando in concretezza dopo aver puntato per secoli sull’astrattezza». È un pericolo? «Non dobbiamo demonizzare quanto sta avvenendo – conclude lo studioso –. Tuttavia, dal momento che stiamo attraversando una delicata fase di passaggio, questo processo va accompagnato. I giovani sono molto creativi sul fronte della lingua nuova o nuovissima ma è necessario aiutarli a comprendere l’importanza della tutela della memoria che può passare dai segni di interpunzione ma anche dal lessico».
L’incubo dell’ortografia
Perché lo scrivano Perekladin non ha mai usato in tutta la sua vita il punto esclamativo? Si può odiare la vocale «U» al punto di uscire di senno ed essere rinchiusi in manicomio? E può la burocrazia trasformare la banale richiesta di un ufficio postale in un caso aggrovigliato? Per scoprirlo basta leggere il libro Il punto esclamativo e altri incubi ortografici (Edb; pagine 80; euro 7,50) che esce a settembre con una nota di Roberto Alessandrini. Il volume raccoglie tre brevi racconti d’autore, ossia di Anton Cechov (1860-1904), tra i maggiori scrittori russi, di Ugo Tarchetti (1839-1869), esponente degli Scapigliati, e del milanese Emilio De Marchi (1851-1901). Tre storie che confermano come la scrittura sia un ricco deposito di incubi, gaffe, incomprensioni, malintesi e ilarità. Eppure talvolta ossessioni ed errori servono a scoprire fatti nuovi, a condizione di saper fare buon uso delle inesattezze. Perché da un errore creativo, insegnano i grandi, può nascere una grande storia. ( https://www.avvenire.it/ )
do Giacomo Gambassi
(05/09/2017)
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