Si finge il perché

Due impresentabili torti. Lo spettacolo che hanno messo in scena, e di cui sono entrambi responsabili, è imbarazzante. Il dibattito è irreale per altre ragioni. Ma a questo punto ciascun candidato presidente s’impegni a dimettersi subito. 
di Davide Giacalone

  

Bindi-Renzi
Rosy Bindi, Matteo Renzi

Roma – Rosy Bindi riuscirebbe ad avere torto anche se avesse ragione, mentre Matteo Renzi pretende di avere ragione anche se ha torto. Lo spettacolo che hanno messo in scena, e di cui sono entrambi responsabili, è imbarazzante. Capace di rendere repellente la competizione elettorale, nel senso di allontanare le persone serie dalle urne. Sollecitazione di cui non si avvertiva il bisogno.
Redigere liste, dividendo presunti onesti da presunti disonesti, è il modo migliore per distruggere la politica e consegnarne le chiavi non alla giustizia, ma alle procure. E’ un’aggravante il fatto che non sia una novità. Accusare la presidente della commissione antimafia di usarla per fini politici, del resto, significa dimenticare di avercela messa e di avere taciuto quando ha annunciato l’arrivo della lista. Datala per certa, dunque, si sperava che fossero diversi i nomi? E, in ogni caso, anche l’uso politico dell’antimafia non è una novità.
Si sarebbe potuto convenire con Renzi, che ha considerato “irreale” la polemica, se non fosse che ha scelto la spiegazione più irragionevole e ipocrita: tanto gli impresentabili non saranno eletti. Quei signori sono stati messi in lista perché portano voti e aiutano a eleggere gli altri. E si prestano a fare i cammellieri per conto terzi al fine di contabilizzare le benemerenze e mettersi al vento delle remunerazioni. Renzi non poteva sbagliare di più: nel merito e nei tempi.

Non dimentichiamo, però, che l’errore irrimediabile lo commisero i partiti, esultando nell’approvare il “codice di autoregolamentazione”, che è un’altra offesa al buon senso e al diritto. Quel codice è il genitore della lista Bindi. Impone ai partiti che lo adottano di non candidare persone su cui pendono accuse relative a “reati spia”, ovvero potenzialmente affini alle organizzazioni criminali. Peccato che:
a. il codice non modifica la legge (e ci mancherebbe), sicché gli “impresentabili” non solo sono presentabili, ma si sono presentati;
b. il codice non prevede alcuna sanzione, quindi dici di applicarlo e poi fai come ti pare;
c. per far finta (senza neanche riuscirci) di rispettarlo collochi i candidati contaminanti nelle liste fiancheggiatrici, dicendo che nelle tue non ce ne sono di discutibili.

E questa è la cosa più lurida, perché quelle liste sono comunque accettate come alleate, portano voti decisivi e si possono presentare grazie alla firma di garanzia di parlamentari amici (il che aggira l’obbligo di raccogliere le firme, che rimane in capo alle vere liste indipendenti). A essere seri, pertanto, ciascun candidato presidente deve rispondere, politicamente, di tutti i candidati alleati, mica solo quelli del proprio partito, perché a ciascuno di loro dovrà l’eventuale elezione.

Il dibattito è irreale per altre ragioni. Dove il diritto non è solo un colpo a tennis quel che conta è il rispetto o meno della legge. Darei volentieri il mio voto a chi candidasse condannati, reclamandone con orgoglio tale condizione. I radicali, ad esempio, combattono da anni una battaglia che non condivido (quindi non la cito per simpatia), relativa alla legalizzazione delle droghe: se candidano dei condannati ne vanno fieri. In una mia immaginaria lista avrei messo anche chi era sotto processo per mafia, come Carmelo Canale, braccio destro di Paolo Borsellino (lui, forse, non avrebbe accettato, ma è questione diversa), e lo avrei fatto per denunciare il calvario cui era sottoposto. La legge mi consente di farlo. L’onore mi impone di farlo. Mentre quelli che candidano i variamente compromessi e poi dicono: non lo sapevo, meritano il discredito di cui sono circondati.

Ed è irreale, il dibattito, anche perché solo in un Paese di sconsiderati può non esistere un’anagrafe nazionale delle pendenze penali. Che sono dati pubblici. Che non vanno confuse con le condanne. Ma che restano inaccessibili. Questa è una riforma che si fa in meno di un’ora, così finisce anche la barbarie per cui se mi stai sul gozzo vado a chiedere, mentre se mi sei amico evito. Se si vuole togliere il lavoro, e sarebbe ora, ai mattinali di procura, si deve anche sapere rendere pubblico quel che è pubblico. Che solo la commissione e la procura antimafia possano accedere a dati pubblici, per giunta sbagliando, è da squinternati.

A questo punto, per metterci una pezza, ciascun candidato presidente s’impegni a dimettersi subito, se i voti raccolti dai da lui stesso definiti “non votabili” risulteranno determinanti. Pezza coloratissima, ma coprente un buco vergognoso. ( www.davidegiacalone.it )

 

  di Davide Giacalone 
    (01/06/2015)

 

 

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