Ligabue, volevo nascondermi

“Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti, Il film sulla vita del pittore Ligabue, vincitore dell’orso d’oro berlinese ad Elio Germano come miglior attore, è appena uscito nella sale italiane.  
di Flavio Bertolini

Ligabue, volevo nascondermiLigabue, “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti, il film sulla vita del pittore Ligabue, è appena uscito nella sale italiane (giovedì 5 marzo ) decisamente sacrificato  ma di coraggio per l’uscita in questo tempo del coronavirus.

Il protagonista Elio Germano, il nuovo Ligabue cinematografico, era chiamato ad un’interpretazione piena di incognite, impegnativa come complessa è stato l’uomo Ligabue nella sua travagliata esistenza. E’ la sfida per il talentuoso attore italiano è riuscita, infatti, c’è stato il premio dell’Orso d’Argento, come miglior attore.

La vita di Antonio Ligabue è quella di un bambino italiano che vive in Svizzera a Zurigo, nell’ultima parte del XIX° secolo. E’ figlio di emigranti, ed è allevato da una famiglia svizzera.

La sua condizione è precaria, infatti, è affetto da rachitismo e gozzo. Questo determina in lui un trauma che si porterà avanti per tutta l’esistenza. All’età di vent’anni arriva in Italia, a Gualtieri, in Emilia Romagna, che per lui rappresenta un paese straniero, una terra nuova, di cui non conosce nemmeno la lingua. Qui, cerca di adattarsi alla nuova realtà, trovando sfogo alla sua solitudine scoprendo la pittura.

Decisivo è per Ligabue l’incontro con Marino Mazzacurati, che lo seguirà nel suo genio pittorico, curando le sue mostre e dando una prospettiva concreta al genio di Antonio Ligabue.

Nella narrazione cinematografica, emerge, attraverso la magistrale interpretazione di Elio Germana, il tratto di un uomo in perenne conflitto con sé stesso e con il mondo che stenta ad accettarlo, in particolare per il suo aspetto poco invitante e i suoi modi non convenzionali.

I passaggi che testimoniano la sua malattia mentale, sono dei momenti toccanti che ci danno l’idea di come sia stato problematico gestire una personalità di questo tipo. E quindi una riflessione sul sistema che fu dei manicomi.

Durante l’espressione del suo talento artistico, emergono come lampi improvvisi i ricordi dell’infanzia, di come aveva vissuto l’essere abbandonato, deriso, maltrattato. E di come questi episodi vissuti in estrema solitudine, non sono stati risolti, e vivono continuamente nella mente di Ligabue. Una lettura psicoanalitica della vita che non può non far pensare, portando lo spettatore a riflettere anche sulla propria storia di vita. Il fatto di vivere in solitudine, nella natura cruda e vitale, considerato “matto”, danno un’evidente manifestazione del suo malessere esistenziale. La solitudine di Ligabue, che lo accompagnerà sempre durante tutta l’esistenza, rappresenta un messaggio rivolto all’umanità.

Soffrire e vivere la sofferenza in solitudine rappresenta un destino segnato, a cui ben poca speranza c’è di sfuggire. Si può riconoscere un barlume di speranza vivendo la propria passione, e attraverso questa mostrare al mondo il proprio dolore e il proprio stupore difronte al dolore. Una sorta di catarsi inconscia, che è più forte del pensiero distruttivo.

E’ la pittura così vitale e sofferta, odiata e amata, scoperta e rifiutata, vissuta come un momento di sfogo emotivo e di scoperta di una propria dimensione, che suggerisce allo spettatore il messaggio di quanto possa essere un’ancora di salvezza al dolore umano, non meritato, il rifugiarsi nelle proprie passioni. La capacità di coltivarle non è patrimonio solo di pochi eletti, ma deve essere compreso come una possibilità per tutti a vari livelli e con diverse inclinazioni.  

La recente scomparsa di Flavio Bucci, che interpretò Antonio Ligabue nello sceneggiato televisivo della RAI nel 1977, dà a questo film un valore particolare. Infatti c’è la possibilità di confrontare i due interpreti, che nel cimentarsi con una figura cosi unica nel suo genere come quella del pittore Antonio Ligabue, hanno dovuto far emergere tutto il loro talento e le doti attoriali. Non è facile essere Ligabue, anche se solo in una finzione cinematografica.

Certamente per vedere questo film si deve avere un interesse per la figura dell’uomo e artista Antonio Ligabue, visto che siamo davanti ad una narrazione impegnativa, fatta di momenti in cui il dolore e l’incomprensione del mondo sono evidenti e mostrati nella loro autenticità.

Vedere il film è in questo caso un’esperienza di vita, un momento di riflessione su un uomo che nella sua solitudine e nel suo dolore, non aiutato dal destino, è riuscito in qualche modo a dare un segno della sua vita attraverso il linguaggio pittorico.

L’emozione che trasmette un’opera d’arte va oltre la semplice capacità tecnica di esecuzione. Lo comprendiamo quando siamo davanti ad opere dell’espressionismo di fine 800 e primo 900, di cui l’’Urlo di Munch, rappresenta la manifestazione più conosciuta e inquietante.

Tra gli interpreti del film, da sottolineare il valido Gianni Fantoni, che dà vita al personaggio dell’industriale Antonini. Pietro Tradi interpreta Renato Mazzacurati. Altri attori sono Oliver Ewy, Leonardo Carrozzo, Dagny Giulami, Orietta Notari, Andrea Gherpelli.

 

 di Flavio Bertolini
   (07/03/2020)

 

 

 

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