La Fenice inaugura con un Don Carlo

Miracolo a Venezia: La Fenice inaugura con un “Don Carlo” epocale.  Regia di Robert Carsen. Lo spleen dell’impulsivo e melanconico Don Carlo trova in Piero Pretti un interprete sciolto, eloquente ed appassionato.
di Gilberto Mion 

La Fenice inaugura con un Don Carlo
Foto Don Carlo ©Michele Crosera

Spostate le prove del Don Carlo a Treviso, riparati di corsa gli ingenti danni alla sala macchine, rimessi a posto gli ambienti inondati, il Teatro La Fenice è risorto. Non dal fuoco, questa volta, bensì dall’eccezionale acqua alta che ha flagellato Venezia e la Laguna.

Fatiche largamente ricompensate da un’apertura di stagione che ricorderemo a lungo, grazie alla memorabile messinscena consegnataci da Robert Carsen. Spettacolo assolutamente superbo, questo suo Don Carlo serratissimo nel racconto ed estremamente rigoroso nelle immagini. Là dove le scene scarne ed essenziali di Radu Boruzescu, color antracite, conquistano per la scabra monumentalità; ed i severi, corvini costumi di Petra Reinhardt – cortigiani, guardie e servitori tutti in abiti talari, le dame in rigide vesti monacali – disegnano per lo spettatore una Chiesa pervasiva, onnipresente, che sovrasta ed opprime non solamente i popoli, ma persino i troni.

Uno spettacolo magnifico ed avvincente

Sono soluzioni registiche coinvolgenti e geniali, quelle del regista canadese, quali l’indovinato parallelo Don Carlo/Amleto, o l’aspetto cimiteriale del chiostro di San Giusto, cosparso di gigli. Splendido sopra tutto il glaciale, disperato auto da fé: costruito con procedere calibratissimo, sfociante nell’esecuzione degli eretici protestanti con un fulmineo colpo di pistola alla nuca, lasciando che il rogo divori i loro libri.

Un’idea solo non convince: rendere simulato l’omicidio politico di Rodrigo, che usciti tutti ‘risuscita’ e stringe furtivamente la mano al Grande Inquisitore. E poi concludere l’opera con la doppia eliminazione di Filippo II e dell’Infante, e con la sua incoronazione. Bizzarria da rinviare al mittente.

Don Carlo nella versione di mezzo

Versione adottata, il Don Carlo in 4 atti, Milano 1884. Via di mezzo, cioè , fra quelle di Bologna e di Modena. Concertazione e direzione stanno nelle mani di Myung Whun Chung. Ormai di casa alla Fenice – dove tra l’altro ha da poco diretto con esiti altissimi Otello e Macbeth – il maestro coreano ha rivelato da tempo un’attitudine verdiana straordinaria. Anche qui, alle prese con un’opera così complessa e varia, conferma non solo spiccata indole narrativa ed una ammirevole profondità esecutiva – con lui, quanti particolari emergono alla luce! – ma anche piena capacità di renderne musicalmente tanto le gelide, cupe atmosfere quanto l’epica grandiosità. Orchestra e coro della Fenice lo assecondano con evidente trasporto, e dipingono man mano, in vigile concentrazione, una serie di affreschi sonori sempre più possenti.

Grandi ruoli, grandi interpreti. Tutti giovani.

Lo spleen dell’impulsivo e melanconico Don Carlo trova in Piero Pretti un interprete sciolto, eloquente ed appassionato, pronto a mettere in campo una squillante emissione ed una buona varietà di chiaroscuri. Maria Agresta dà corpo ad una Elisabetta lirica e trasognata, straordinaria nella sua sublimata infelicità, con tinte tenui e soffici, un canto elegante ed esaltante bellezza di timbri specie nel registro mediano. Peccato solo per gli acuti un po’ sforzati.

Nel debuttare Filippo II con un fraseggio rifinito ed elegante, Alex Esposito ne centra bene sia l’altera tempra regale, sia quel particolare canto ripiegato, grave e pensoso, che Verdi affida al maturo sovrano. Apprezzabile incisività scenica, timbro magnifico, linea di canto irreprensibile nel Rodrigo di Posa – il segreto motore di tutta la vicenda – offerto da Julian Kim. Quella di Eboli è forse la parte più tremenda di tutte: Veronica Simeoni la sostiene assai bene nel taglio caratteriale e nella convinta recitazione; qualcosa meno nel fraseggio e nel canto di agilità dove la sentiamo avanzare un po’ a fatica. L’Inquisitore di Marco Spotti non convince fino in fondo, ma funziona a dovere. Le numerose parti di fianco si mostrano tutte – a parte un Frate così così – all’altezza del loro compito.  (  https://www.teatro.it  )

 

    Redazione
 (09/12/2019)

 

 

 

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